L’idea della piazza nasce da quelle immagini di paese che regalano, proprio sulla piazza, la domenica mattina, un ritaglio di fraternità: qualche chiacchera, un caffè, una stretta di mano…
Una piazza, un luogo di ritrovo, un posto familiare dove fermarsi, accogliersi, raccontarsi.
Lo stile della piazza non è quello della strada: in oratorio si vive in comunità con al centro i valori evangelici.
Ogni ragazzo percorrendo la strada della sua vita può incrociare la piazza e sentirsi accolto. Sulla piazza si aprono molte porte che possono dare la risposta specifica alla voglia di crescere dei ragazzi. E poi ci sono gli adulti che devono anche loro avere uno stile e devono presentarsi anche come modello. I ragazzi vedendo gli adulti che hanno uno stile evangelico possono imparare.
Questo progetto si chiama ORATORIO e, per tanto, è bene precisare cosa si intende.
Nel parlare comune, ORATORIO vuol dire almeno tre cose diverse.
– Oratorio = un luogo fisico. Il campetto da calcio e poi le stanze che potremmo utilizzare
– Oratorio = tutta l’attività che non ha altro nome. Dopo il gruppo formativo, dopo l’incontro di preghiera, dopo il servizio…. viene l’oratorio; gioco libero non troppo organizzato.
– Oratorio = un modo di fare pastorale.
Io condivido questa terza ipotesi sapendo che non è l’unico modo di fare pastorale: altre parrocchie o altri enti puntano su altri modelli educativi.
L’idea di oratorio come progetto educativo vuole partire da un’esperienza di comunità senza dimenticare il dialogo e la testimonianza di fronte al mondo. Come Gesù ha raccolto intorno a sé degli apostoli per tre anni di vita in comune ed ha insegnato loro lo stile di vita evangelica che poi hanno testimoniato alle genti, mi pare importante proporre un’autentica esperienza di comunità cristiana, un modo concreto per vivere quel cristianesimo che poi i ragazzi saranno chiamati a testimoniare da adulti nelle loro famiglie, nella scuola, sul lavoro….
Questo intendo con la proposta “oratorio”: una comunità cristiana dove i ragazzi possano vivere, crescere = conoscere Cristo per seguirlo dove Lui vorrà chiamarli.
– Comunità: nessuno può essere cristiano da solo. E’ necessario che i ragazzi possano vivere un’esperienza di Chiesa, non solo che ne sentano parlare a catechismo o a gruppo. Devono vedere, provare, sperimentare.
– Vivere: esperienza, non teoria. Il Signore ha qualcosa da dire a tutta la vita del ragazzo: quando gioca, quando pensa, quando studia, quando prega, quando fa gruppo…
– Crescere: esperienza educativa. Non è importante a che punto del cammino è il ragazzo, l’importante è che abbia l’opportunità di crescere. Per questo non teniamo i ragazzi a balia, non siamo un’agenzia di turismo che organizza il tempo libero o le gite: si vuole aiutare i ragazzi a crescere.
– Sono il motore della macchina, perno intorno a cui si muovono i ragazzi
– Il Cristianesimo non s’insegna sui libri, ma si trasmette in testimonianza: il modo di stare insieme, la discrezione, la delicatezza, il trattenersi del giudizio…. Ci deve essere un clima (non artificiale, ma costruito – anche con fatica-) che si percepisce quando si entra in un ambiente.
– Educatore non è colui che è passato dall’altra parte della cattedra, ma colui che vive in prima persona il cristianesimo.
Prima di fermarsi sui gruppi, chiedersi che cosa fanno gli educatori, come vivono la comunità, come crescono nella fede, … (formazione, preghiera, vita sacramentale, direzione spirituale, condivisione, tempo libero…)
– Per educatore intendo colui che si sente responsabile (non solo teoricamente, ma con la vita – vedi punto prec.) di tutto il progetto che la comunità ha elaborato per i ragazzi. E’ animatore colui che si assume un incarico in un’attività dell’oratorio. Gli educatori sono anche animatori, ma non sempre viceversa. (può essere uno con delle competenze, ma deve essere formato)
– E’ importante che ognuno si senta “mandato” dalla comunità intera a quel ragazzo, a quel gruppo. Nessuno può autoincaricarsi del ruolo altrimenti si fanno delle piccole chiese.
– Al di la’ degli incontri “ufficiali” si dovrebbe pensare ad un incontro quotidiano in Oratorio: il “passare a vedere chi c’è”, l’andare a salutare gli amici al ritorno dalla scuola o dal lavoro, scambiare “quattro chiacchiere…” Questo credo sia segno di un oratorio “comunità di vita”, perché la vita è fatta di tanti piccoli momenti quotidiani che non sono affatto banali.
– Senza essere educatori e senza occuparsi dei ragazzi si può partecipare ad alcune iniziative: un gruppo, la preghiera, le feste, torneo…momenti costruiti con gli altri educatori, ma aperti. L’essere animatore o educatore non deve diventare un èlite. Certo ci saranno dei momenti particolari: un gruppo educativo deve essere fisso per confrontarsi (se continuamente uno si aggiunge e uno si toglie non si riesce a costruire), ma poi bisogna andare “nel mondo” o “accogliere il mondo”
– Animatori che operano fuori dall’ambito dei gruppi giovanili: caritas, anziani…
– Chi entra in Oratorio deve sapere che è accolto in un’esperienza precisa. Non siamo la strada, ma c’è uno stile che nasce dai valori evangelici
– Chi entra in Oratorio incontrerà delle persone: animatori, adulti, educatori… deve accorgersi che c’è uno stile particolare
– L’esperienza che si propone ai ragazzi in Oratorio è un’esperienza educativa, vuol far crescere. Questo può voler dire costruire un itinerario diverso per ogni ragazzo.(porte diverse che si aprono sull’unica piazza). Si deve accogliere il ragazzo al punto in cui è e stimolare in lui il desiderio di mettersi in gioco per maturare il suo cammino di vita e di fede.
– E’ importante un rapporto educatore – ragazzo. Non ci può essere solo il “ruolo”, altrimenti si ricalca l’esperienza di un certo tipo di educatori che pretendono di educare con una lezione. Per questo è importante che il ragazzo “incontri” l’educatore sulla piazza al di fuori del suo compito specifico.
– Ad ognuno la sua proposta, ma non ad ognuno il suo cristianesimo. Da qui un criterio educativo: il Vangelo parla a tutto l’uomo in ogni aspetto della sua vita, per questo la nostra educazione dovrà essere globale: partendo dal gioco, da una riflessione, dai compiti, dallo sport, da una preghiera…. Si dovrà prendere in carico tutto il ragazzo che vive in famiglia, che va a scuola, che studia, che pensa, che ama…. Il ragazzo non passa tutta la vita in Oratorio, ma tutta la sua vita è interessata dal Vangelo: nessun dualismo tra fede e vita: altrimenti cresceremo dei ragazzi che vivono senza fede (pensiamo a tante fughe post-cresima) oppure che hanno una fede morta, priva di ogni concretezza della vita.
– Se un ragazzo viene solo per fare catechismo, quando avrà fatto la cresima non lo vedremo più, così se uno viene solo per giocare a pallone, quando smetterà perché stufo non lo vedremo più, ma se l’Oratorio è visto come un orizzonte dove il ragazzo si muove, dove trova degli amici, degli educatori… oggi giocherà a pallone, domani suonerà la chitarra, poi i compiti…. La crisi momentanea non lo allontanerà dalla comunità dell’oratorio.
– Dire che l’Oratorio deve diventare un ambiente di vita, non significa l’unico ambiente di vita, piuttosto che tenta di unificare la vita del ragazzo in un progetto. Far crescere in oratorio non vuol dire creare “il nido caldo” ma imparare a testimoniare al mondo il cristianesimo
– Per un discorso globale bisogna cercare la collaborazione con le figure educative che orbitano intorno al ragazzo: famiglia, scuola, ambienti sportivi…