Giobbe

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Il libro di Giobbe, uno dei più complessi e interessanti dell’Antico Testamento, tratta un tema umano molto profondo: perchè l’uomo è soggetto alla sofferenza se Dio ha il controllo di ogni cosa ?
Questo problema ha tormentato le migliori coscienze di tutte le società, dall’inizio della civiltà fino ad oggi.
Il libro, un poema molto lungo e ben architettato, affronta appunto questo tema. Narra di un uomo, di nome Giobbe, che in breve tempo perse tutto ciò che aveva. Si trovò coperto di piaghe e reietto, ad aspettare la morte presso la discarica della città, quando alcuni dei suoi amici andarono a trovarlo per consolarlo.
Celata nel sottofondo della vicenda c’è la volontà di Dio e la sfida beffarda del diavolo.
La prima serie di discorsi pronunciati dagli amici di Giobbe ha per tema generale i peccati da lui commessi. Dio onnisciente e onnipotente, sostengono, non fa altro che dargli ciò che si merita.
Intervengono tutti e tre i suoi amici: Elifaz, un gentile mistico; Bildad, un tradizionalista piuttosto antipatico; Zofar, una mentalità strettamente dogmatica. I tre personificano tre diversi atteggiamenti nei confronti del problema della sofferenza, ai quali Giobbe contrappone il suo punto di vista.
Giobbe risponde a tutti e tre, terminando con un pressante appello a Dio – “Mi uccida pure, non me ne dolgo; voglio solo difendere davanti a lui la mia condotta !” (13,15) – e l’unica cosa che Giobbe desidera è una vita pacifica e serena nell’aldilà.
La seconda serie di discorsi è incentrata sul tema che il giudizio divino colpisce i malvagi. Sembra che a questi tre oratori non venga neppure in mente che ci può essere un mistero nella vita dell’uomo e che le risposte semplicistiche possono non essere soddisfacenti.
La risposta di Giobbe, tormentata, raggiunge il culmine in 19,23-29, dove egli ribadisce la sua incrollabile fede in Dio e nel futuro: “Io lo vedrò, io stesso, e i miei occhi lo contempleranno”.
La terza serie di discorsi esalta la sapienza di Dio e il modo in cui egli governa la vita, sottintendendo che Giobbe è uno sciocco ignorante e non ha titolo per rispondere a Dio. Giobbe riafferma la sua posizione: rimane nella convinzione di non meritare ciò che gli è capitato.
Sulla scena compare un altro personaggio, Eliu, che affronta il problema da un’altra angolazione. Sostanzialmente egli dice che il cuore di Giobbe è dominato dall’orgoglio e che esiste una misteriosa correlazione tra questo e le sofferenze che deve sopportare.
Senza dare il tempo a nessuno di riprendere la parola, Dio risponde a tutti. Gli amici di Giobbe, Eliu e Giobbe stesso, sono tutti fuori strada. Nessuno di loro conosce tutti gli elementi necessari, e perciò nessuno è in grado di pronunciare il verdetto finale. Solo Dio è in grado di ricomporre ogni cosa in modo ordinato, e Giobbe è invitato a imparare la lezione. Quando non ci rimane altro se non Dio, solo allora ci rendiamo conto che Dio ci basta.
Dopo che Giobbe ebbe imparata la lezione, gli furono restituite tutte le sue fortune ed egli venne confortato e consolato. “Il Signore benedisse la nuova condizione di Giobbe più della prima” (42,12).

Schema del libro:
1) Prologo: scena in cielo            1,1-2,13
2) Prima serie di discorsi            3,1-14,22
3) Seconda serie di discorsi            15,1-21,34
4) Terza serie di discorsi            22,1-31,40
5) Discorso di Eliu                32,1-37,24
6) Risposta di Dio                38,1-42,6
7) Epilogo                        42,7-17

Giobbe ci è presentato come un uomo giusto che Dio permette a Satana di mettere alla prova.
Tre suoi amici si sforzano di dimostrargli che egli soffre perchè è peccatore. Ma il disgraziato rifiuta con fermezza l’opinione dei suoi interlocutori.
Un quarto personaggio interviene e pretende di risolvere l’enigma illustrando la virtù educatrice della sofferenza.
Infine appare Dio: Egli fa notare le meraviglie della Creazione e rimprovera a Giobbe l’indiscrezione delle sue lamentele. Il libro si chiude con la restaurazione del giusto nel suo stato precedente, con una rinnovata benedizione di Dio per lui.
Il tema di fondo è la sofferenza del giusto confrontata con la prosperità dell’empio.
Gli amici di Giobbe difendono la tesi allora comunemente accettata:
Elifaz – L’innocente non potrebbe perire (4,7), il peccato richiede una punizione (4,8.9) e che Dio trova colpe in ogni uomo (4,17-19; 15,14-16) Giobbe compreso (22,6.10). Il castigo è tuttavia destinato alla correzione (5,17.18).
Bildad – Si pone come apologista di Dio (25,1-6; 26,5-14).
Sofar – E’ aggressivo, sottile, pessimista. Mira a colpire Giobbe (11,2-4), considera inevitabile il castigo dei peccatori (20,5-29) anche se peccano inconsciamente (11,5.12).
Giobbe si difende con fermezza: è innocente e soffre (9,21; 13,23; 16,16.17; 30,25.37; 29.30.31).
Elihu – Dio educa gli uomini non soltanto con il suo aiuto benevolo ma anche con le sofferenze (33,15-18; 19,23). Anche le sofferenze sono strumenti di salvezza (36,15).
L’intervento di Dio non risolve perchè parla da Dio e non da uomo.
La risposta al problema resta dunque nascosta in Dio, ma la risposta esiste.
L’ultima visione di Daniele (12,1-3), il secondo libro dei Maccabei (7,9.11.14.23; 12,43-46) e il libro della Sapienza (1-5) rivelano l’eterno destino riservato ai giusti e ai peccatori, e il Nuovo Testamento esplicitando gli insegnamenti del Servo (Is 53,1-12) finirà di dare la soluzione che il giusto sofferente potrebbe ancora desiderare sul suo progetto di vita: la sofferenza del giusto ha un valore redentore (Rom 5,6-19; 1 Cor 15,3; 2 Cor 5,15; Col 1,14.20.24).
Alla luce del Nuovo Testamento noi contempliamo nel Cristo che ha sofferto per noi prima di entrare nella gloria, il perfetto esemplare della risposta al problema che sempre si ripropone, ma ormai illuminato da una sicura speranza.
Nel Vecchio Testamento la retribuzione del bene e del male, concepita dapprima come collettiva (Num 16,30-33) poi come individuale (Dt 24,16) si pone fino agli ultimi secoli del giudaismo in una prospettiva “terrestre” e in un quadro di sanzioni di carattere temporale.
E’ solo a partire dalla prima meta’ del II° secolo che si parla di sanzioni spirituali ed eterne (Dan 12,1-3; 2 Mac 7,9.11.14; Ez 18,2; Ger 31,29).