Lettere Apostoliche

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La terza parte del Nuovo Testamento (dopo Vangeli e Atti) contiene 21 lettere scritte da diversi apostoli. La maggior parte sono scritte dall’apostolo Paolo (da Romani a Filemone) e sono suddivise a loro volta in diversi gruppi: lettere ai Romani, 1 e 2 Corinzi, Galati, 1 e 2 Tessalonicesi; lettere dalla prigione (Efesini, Filippesi, Colossesi, Filemone); lettere pastorali (1 e 2 Timoteo, Tito); Ebrei (opera della comunità).
Le altre lettere, da Giacomo a Giuda, sono dette lettere “cattoliche” perchè indirizzate soprattutto alla Chiesa in generale.
San Paolo ci è noto più di qualsiasi altra personalità del Nuovo Testamento. E’ un appassionato, un’anima di fuoco che dopo la conversione si consacra senza riserve a un ideale, e tale ideale è essenzialmente religioso.
Per lui Dio è tutto ed egli lo serve con una lealtà assoluta. Questo zelo incondizionato si traduce in una vita di totale abnegazione al servizio di Colui che lo ama. Travagli, fatiche, sofferenze, privazioni, pericoli di morte (1 Cor,4,9-13; 2 Cor 4,8ss; 6,4-10; 11,23-27)… nulla di tutto questo potrebbe separarlo dall’amore di Dio (Rm 8,35-39); o piuttosto tutto questo è prezioso perché lo conforma alla passione e alla croce del suo Signore (2 Cor 4,10ss; Fil 3,10ss).
Paolo si preoccupa per tutti, sostiene e incoraggia tutti, ma sempre con grande umiltà attribuisce unicamente alla grazia di Dio le grandi cose che si compiono per mezzo suo (1 Cor 15,10; 2 Cor 4,7; Fil 4,13; Col 1,29; Ef 3,7).
Le lettere di San Paolo possono essere considerate come un quinto evangelo, tanto sono ricche di un messaggio spirituale profondo che scaturisce direttamente dal mistero di Cristo.
Da uno sguardo complessivo si può sintetizzare il loro contenuto:
C’è un piano di salvezza tracciato dall’amore di Dio (Ef 1,5.9.11) fin dall’eternità (1 Cor 2,7; Rm 16,25; Ef 1,4), destinato a tutti gli uomini, giudei e pagani (Rm 16,25; Ef 3,6-16) per formare un unico popolo (Ef 2,14.16) mediante l’adozione a figli (Ef 1,5), in virtù della redenzione nel sangue, cioè la morte del Figlio di Dio (1 Cor 2,2; Col 1,20; Ef 1,7; 2,13).
La rivelazione di questo piano di salvezza è fatta dallo Spirito di Dio (1 Cor 2,10-16), parzialmente nell’Antico Testamento (Rm 16,26-28), totalmente nella pienezza dei tempi (1 Cor 2,10; Col 1,26-28; Ef 3,5-12). Lo Spirito ha parlato ai santi apostoli (Ef 3,2.8.13) ma specialmente a Paolo (Gal 2,7).
Il mistero è veramente salvifico se è ricevuto mediante la fede. Per penetrarne tutta la profondità è necessaria una certa maturità spirituale (1 Cor 3,1). Questo disegno divino è stato concepito per la nostra gloria (1 Cor 2,7; Ef 1,18), a cui partecipiamo già con il battesimo (Col 1,27; Ef 2,6) ma che sarà perfetta alla fine dei tempi. Scopo ultimo del piano di salvezza è la lode e gloria della grazia di Dio che splende in ogni tappa del cammino della salvezza.
Paolo afferma la preesistenza e quindi la divinità di Cristo. Egli, da ricco che era si fece povero per noi (2 Cor 8,9), è il primogenito di ogni creatura, immagine del Dio invisibile (Col 1,5) e già prima dell’incarnazione era uguale a Dio (Fil 2,6).
In Lui tutto è stato creato in cielo e in terra, e in Lui tutto sussiste (Col 1,16-17); è Colui per mezzo del quale tutto esiste e che ci conduce a Dio (1 Cor 8,6), e a Lui tutto fa capo (Ef 1,10). In Lui abita la pienezza della divinità (Col 2,9).
Paolo con la stessa forza afferma anche la realtà della natura umana in Cristo: nato da donna, sotto la legge (Gal 4,4), nato dal seme di David secondo la carne (Rm 1,3); il Padre invia il Figlio in una carne di peccato per distruggere il peccato nella sua carne (Rm 8,3). Nel suo amore per gli uomini, Egli, l’innocente (2 Cor 5,21), pur essendo di natura divina spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini (Fil 2,6-7) eccetto che nel peccato (Eb 4,15); prese sopra di sè le nostre miserie. Egli che non conobbe peccato fu costituito peccato per noi (2 Cor 5,21), cadde sotto il potere della legge (Gal 3,10.13; 4,4).
Ma il culmine della redenzione l’abbiamo nella passione, morte e risurrezione; queste tre fasi dell’esistenza di Cristo formano un’unità che costituisce il mistero della redenzione nella sua completezza.

Continuando ad attingere dalla grandissima ricchezza delle lettere di San Paolo, constatiamo la preziosità dei suoi insegnamenti per la vita spirituale di ogni cristiano.
Per mezzo della fede le verità rivelate divengono norma di vita. Così Paolo richiama continuamente i suoi discepoli con le parole: “Non sapete che…?” (Gal 3,2-7; 1 Cor 6,16; 2 Cor 1,7; Rm 6,3.8-9).
La fede deve suscitare un comportamento. Se con la fede si crede, è necessaria anche la confessione della fede per essere salvi (Rm 10,10): e la fede diviene operante mediante la carità (Gal 5,6).
La speranza ci fa aspirare ai beni futuri che già parzialmente possediamo. Oggetto della speranza è la salvezza finale (Rm 2,7; Tt 1,2), la risurrezione gloriosa (Rm 8,21).
Fondamento della speranza è l’amore di Dio (2 Ts 2,16; Rm 5,5), l’onnipotenza di Dio che si è già manifestata nella risurrezione di Gesù (Rm 8,11; 2 Cor 13,4; Ef 1,19), la fedeltà di Dio alle sue promesse (Tt 1,2), il dono dello Spirito (Rm 8,11; Gal 5,5; Ef 1,14).
Questi motivi rendono certa la nostra speranza (Rm 5,5; Tt 1,2) nella misura in cui corrisponderemo all’amore di Dio (Col 1,23). Perciò la speranza è fonte di consolazioni (1 Ts 4,13; Rm 12,12); può diventare sempre più tenace (Rm 15,13). Nella lettera agli Ebrei è chiamata “ancora dell’anima”: ci unisce infatti ai beni eterni ed immutabili.
La carità è la partecipazione all’amore di Dio che si manifesta nel piano della salvezza (Rm 8,28; Ef 1,4-11), specialmente nel mistero della redenzione (Rm 5,7ss), e che Cristo ha mostrato con la morte di croce (2 Cor 5,14; Gal 2,20; Ef 5,25-28).
E’ amore che supera ogni conoscenza (Ef 3,19), effuso nei cuori con il dono dello Spirito (Rm 5,5); anzi è il primo dei frutti dello Spirito (Gal 5,22).
La carità fa abitare la Trinità nell’anima (2 Cor 13,13); in questa virtù si riassume tutta la legge, la cui pienezza è l’amore (Rm 13,8-10): è il vincolo della perfezione (Col 3,14); deve manifestarsi con le opere, specialmente con l’amore fraterno le cui qualità sono descritte mirabilmente in 1 Cor 13,4-7, l’inno alla carità; è quindi servizio a favore dei fratelli (Gal 5,13) fatto di umiltà, sollecitudine, disinteresse (Rm 12,9-16).
L’obbligo di amare non può mai essere estinto (Rm 13,8). La carità si estende anche ai nemici (Rm 12,17-21); è superiore non solo ai carismi più eccelsi (1 Cor 13,1ss), ma anche alla fede che rende operosa (Gal 5,5); i fedeli devono non solo crescere, ma abbondare nella carità (1 Ts 3,12; 2 Cor 8,7) per raggiungere la statura dell’uomo perfetto (Ef 4,13).
La carità è vincolo di altre virtù: la prudenza (Tt 2,5-6), la fiducia (2 Cor 3,4-12), la sincerità (2 Cor 6,5), l’umiltà (Col 3,12; Fil 2,1-11), la mitezza (2 Cor 10,1).

Come progredire nella vita spirituale ?

I mezzi sono la lettura assidua della Bibbia (1 Tm 4,13; 2 Tm 3,16-17), una vita di seria testimonianza, e la preghiera indirizzata al Padre celeste che ci ha resi suoi figli adottivi e che quindi possiamo invocare come Abbà (Gal 4,6; Rm 8,15), invocazione che manifesta il nuovo essere cristiano. Nella preghiera Cristo appare come il mediatore (Rm 1,8; 7,25). Nota caratteristica della preghiera è l’intervento dello Spirito Santo per aiutare la nostra debolezza (Rm 8,15.26-27).
La preghiera deve essere: filiale, continua (1 Ts 5,17; Rm 12,12; Ef 6,18), insistente (1 Ts 3,10); può prendere la forma di: supplica (Ef 6,18), salmo, inno, cantico spirituale (Ef 5,19); ma specialmente di lode, di ringraziamento.
Questi brevi accenni sulla preghiera rivelano in Paolo un’anima vissuta in continua, intima unione con Dio.
San Paolo ha avuto l’esperienza di Dio (Fil 3,7-15) e parla di conoscenza dell’amore di Cristo (Ef 3,9) e di una pace che supera ogni intendimento (Fil 4,7). Fa riferimento a una vita vissuta intensamente in Cristo (Gal 2,20) come espressione di un cuore pieno di riconoscenza.
Quando Paolo presenta se stesso come modello di vita cristiana (2 Ts 3,7-9; 1 Cor 4,15; 11,1; Fil 3,17) questa conformità a Cristo crocifisso si esprime nell’accettazione delle sofferenze che la vita offre e che sono permesse da Dio (2 Cor 12,7), e nella mortificazione del corpo (1 Cor 10,27): così le azioni di Paolo sono le azioni del Cristo. Infatti egli esorta (Rm 12,15), parla (Rm 15,30), soffre (Rm 16,12), ama nel cuore di Cristo (Fil 1,8).
Ma la testimonianza più bella su Paolo, modello ai perfetti, l’abbiamo in Fil 3,4-16: dal momento della conversione la sua vita si trasforma in una corsa instancabile verso la perfezione, per configurarsi a Cristo crocifisso e arrivare alla piena conformità con lui, nella risurrezione gloriosa. Quindi, anche quando Paolo parla di se stesso, in primo piano c’è l’esempio di Cristo.
L’amore per noi che si manifesta nel sacrificio della croce (Ef 5,1-2) deve muovere il cristiano a vivere unicamente per il Signore (2 Cor 5,15; Rm 14,7-9); da questa comunione di vita nasce l’obbligo di avere gli stessi sentimenti di Cristo (Fil 2,5): l’amore (Ef 5,2), l’umiltà (Fil 2,5-11), la dolcezza, la mansuetudine (2 Cor 10,1; Fil 2,1).
Tutte le azioni devono essere fatte in nome di Cristo: vantarsi (Fil 3,3), lavorare (Rm 16,12), accogliere gli ospiti (Rm 16,2), salutare i fratelli (Rm 16,22); e anche le azioni materiali (” sia che mangiate o beviate”) devono essere fatte in Cristo (1 Cor 10,31; Col 3,17). In tal modo il fedele cresce in Cristo (Ef 4,15) e Cristo si forma in lui (Gal 4,19).
L’ideale è quello di essere perfetto in Cristo (Col 1,8; Ef 4,13) che diventa l’ispiratore di tutta l’attività umana di ogni giorno: la mente e il cuore diventano la mente e il cuore di Cristo. Questa imitazione non è esteriore, ma manifestazione di quello che siamo divenuti nel battesimo, cioè figli di Dio.
Le lettere che San Paolo ci ha lasciato sono scritti occasionali: non trattati di teologia ma risposte a situazioni concrete. Vere lettere che Paolo destina alle varie comunità da lui seguite e a tutti i fedeli in Cristo.
Possiamo e dobbiamo sempre supporre dietro di esse la parola viva di cui sono il commento su punti particolari.
Esse sono infinitamente preziose per la loro ricchezza e per la loro varietà; centrate intorno al Cristo morto e risorto, si adattano, si sviluppano nel corso di una vita di testimonianza piena e offerta senza riserve a gloria di Dio.

E’ possibile riconoscere le tappe di questa esposizione di pensiero spirituale percorrendo le lettere secondo l’ordine cronologico.
Le prime in ordine di tempo sono rivolte ai Tessalonicesi, che Paolo ha evangelizzato durante il secondo viaggio (At 17,1-10) nell’estate del 50.
Oltre l’interesse di anticipare molti temi che saranno ripresi in seguito, queste due lettere sono importanti soprattutto per la loro dottrina sulle cose ultime, su che cosa ci attende dopo la morte.
Il pensiero dell’apostolo è centrato sulla risurrezione di Cristo e sulla sua venuta gloriosa che apporterà la salvezza a quanti hanno creduto in lui, anche se già morti (1 Ts 4,13-18). Paolo insiste sulla imprevedibilità di questa venuta che richiede vigilanza (1 Ts 5,1-11).
Mentre scriveva queste lettere, Paolo evangelizzava Corinto per un periodo di oltre diciotto mesi (At 18,1-18), dalla fine del 50 alla metà del 52, riuscendo a stabilirvi una forte comunità.
Però questa grande città era un centro di cultura greca dove si affrontavano correnti di pensiero e di religione molto differenti tra loro, con un rilassamento dei costumi che la rendeva tristemente celebre. Il contatto con la fede cristiana pose numerosi e delicati problemi e nelle due lettere l’apostolo cerca di risolverli.
In 1 Corinti troviamo così informazioni e decisioni su questioni cruciali del cristianesimo primitivo: purezza dei costumi (1 Cor 5,1-13; 6,12-20), matrimonio e verginità (7,1-40), svolgimento delle assemblee religiose e celebrazione dell’Eucaristia (11-12), uso dei carismi (12,1-14,40). Oltre ai rapporti con il mondo pagano: ricorso ai tribunali (6,1-11), carni offerte agli idoli (8-10).
La difesa del suo apostolato (2 Cor 10-13) gli ispira pagine splendide sulla grandezza del ministero apostolico (2 Cor 2,12-6,10), e l’argomento molto concreto della colletta (2 Cor 8-9) è illuminato dall’ideale della unione tra le chiese.
Agli abitanti di Corinto che si dividono opponendosi i diversi maestri e i loro talenti umani, Paolo ricorda che c’è un solo maestro, il Cristo; un solo messaggio, la salvezza mediante la croce; e che lì si trova la sola e vera sapienza (1 Cor 1,10-4,13).
La vita cristiana presente si realizza così come unione al Cristo nella vera conoscenza, che è quella della fede.

Le lettere ai Galati e ai Romani presentano molte affinità tra di loro, per cui possono essere considerate insieme.
Mentre le lettere agli abitanti di Corinto opponevano il Cristo sapienza di Dio alla vana sapienza del mondo, le lettere ai Galati e ai Romani oppongono il Cristo giustizia di Dio alla giustizia che gli uomini pretenderebbero di applicare.
Mentre in Corinti il pericolo veniva dallo spirito greco con l’orgogliosa fiducia nella ragione, qui viene dallo spirito giudaico con l’orgogliosa fiducia nella legge.
La legge di Mosè, in sè buona e santa (Rm 7,12), ha fatto conoscere all’uomo la volontà di Dio, ma senza comunicargli la forza interiore per adempierla; in questo modo è riuscita solo a fargli prendere coscienza del suo peccato e del bisogno che ha dell’aiuto di Dio (Gal 3,19-22; Rm 3,20; 7,7-13). Ma questo aiuto di pura grazia promesso un tempo ad Abramo è appena stato accordato in Gesù Cristo: la sua morte e risurrezione hanno operato la distruzione dell’uomo vecchio e la ricostituzione di una nuova umanità (Rm 5,12-21). Unito a Cristo mediante la fede e animato dal suo Spirito, l’uomo riceve ora gratuitamente la vera giustizia e può vivere secondo la volontà divina (Rm 8,1-4).
La sua fede può certamente svilupparsi in opere buone, ma queste opere compiute con la forza dello Spirito (Gal 5,22-25; Rm 8,5-13) non sono più quelle opere della legge nelle quali i giudei ponevano orgogliosamente la propria fiducia. Esse sono accessibili a quanti credono, anche se provengono dal paganesimo (Gal 3,6-9.14; Rm 4,11).
Fin d’ora i fedeli del Cristo, sia di origine giudaica che pagana, devono formare una cosa sola nella carità e nell’aiuto reciproco (Rm 12,1-15,13). Queste sono le grandi prospettive che abbozzate in Galati vengono ampliate in Romani, e ci danno sviluppi meravigliosi sul passato peccaminoso di tutta l’umanità (Rm 1,18-3,20) e la lotta interiore di ogni uomo (Rm 7,14-25), la gratuità della salvezza (Rm 3,24), l’efficacia della morte e della risurrezione di Cristo (Rm 4,24ss; 5,6-11) partecipate mediante la fede e il battesimo (Gal 3,26ss; Rm 6,3-11), la chiamata di tutti gli uomini a diventare figli di Dio (Gal 4,1-7; Rm 8,14-17), l’amore infinitamente sapiente di Dio giusto e fedele che porta avanti il piano della salvezza con le sue diverse tappe (Rm 3,21-26; 8,31-39).
Lo Spirito che era oggetto della promessa è ora già posseduto a titolo di primizia (Rm 8,23) e permette al cristiano di vivere nel Cristo (Rm 6,11) e al Cristo di vivere in lui (Gal 2,20).

La lettera ai Romani è uno dei più importanti libri del Nuovo Testamento, densa di contenuto teologico. Nel suo scritto Paolo traccia un’ampia panoramica della storia e del pensiero dai tempi di Adamo alla fine del mondo.
Nonostante la nostra disperata situazione di peccatori, Dio non ci ha abbandonati. Sono evidenti due concetti: che Dio può essere ancora conosciuto dall’uomo nonostante i suoi peccati, e che Egli non ha sospeso il dialogo con noi, ma ci ha offerto la possibilità di salvezza in Cristo. Gesù infatti è morto per noi che non meritavamo tanto, per poterci ricondurre a Dio.
Dio non cessa mai di amarci ed è in grado di operare per il nostro bene in tutte le cose. In questo modo la lettera si rivela ricca di teologia, ma anche una guida pratica per i credenti, preziosa per imparare l’essenza del vivere cristiano.

La lettera ai Filippesi ha un contenuto poco dottrinale. E’ piuttosto un’effusione di cuore, uno scambio di notizie e soprattutto un appello all’unità nell’umiltà (2,6-11).
Paolo esprime la certezza che Dio che ha iniziato la sua opera in ogni credente, la porterà a termine. Anche se è Dio che realizza, in ogni caso dobbiamo darci da fare e attendere alla nostra salvezza “con timore e tremore” (2,12), protesi verso la meta, verso la chiamata di Dio a ricevere il premio lassù, in Cristo Gesù (3,14).
Il valore della preghiera è sottolineato da Paolo come il mezzo per conseguire la vera libertà dall’ansietà (4,4-7). La pace di Dio verrà data a coloro che offrono se stessi con generosità e dedizione, facendo tutto il bene possibile.

Le lettere agli Efesini, ai Colossesi e a Filemone formano un gruppo omogeneo: stessa missione di Onesimo in Col 4,9 e Fm 12; di Tichico in Col 4,7ss e Ef. , mentre Paolo è ancora prigioniero (Fm 1.9ss.13.23; Col 4,3.10.18; Ef 3,1; 4,1; 6,20).
Il pericolo a Colossi, proveniva da speculazioni messe in opera dal giudaismo (Col 2,16), che discutevano sulla effettiva supremazia di Cristo. Paolo afferma che la glorificazione di Cristo Signore l’ha posto al di sopra di ogni altra potenza, per cui Egli assume in sè tutta la pienezza dell’essere, di Dio e del mondo in Dio (Col 1,13-20).
Resi liberi mediante l’unione con il Signore e la partecipazione alla sua pienezza (2,10), i cristiani non devono più considerare osservanze antiquate ed inefficaci (2,16-23). Grazie al battesimo essi sono membra del suo corpo e ricevono la vita nuova unicamente da Lui, dal Signore Gesù nella Chiesa.
Queste prospettive le troviamo anche nella lettera agli Efesini, dove lo sguardo si dilata proprio verso la Chiesa, corpo del Cristo.
Il piano della salvezza si è sviluppato per tappe secondo i disegni eterni di Dio (1,3-14) e il suo termine è l’unione del Cristo con l’umanità salvata.
I capitoli 4-6 contengono insegnamenti circa la vita cristiana. Paolo parla del matrimonio, della famiglia, delle tentazioni, dell’ira, del servizio e dei conflitti di ordine spirituale. In tutto ciò la soluzione è data dal conoscere Cristo sempre meglio nell’esperienza pratica. La preghiera diventa l’arma che ci permette di riportare vittorie sul peccato, sul male e su tutte le nostre fragilità e difficoltà spirituali.
Le lettere a Timoteo e a Tito sono simili per forma e situazione storica che presuppongono. Indirizzate a due dei suoi più fedeli discepoli (cf At 16,1ss; 2 Cor 2,13ss) queste lettere comunicano direttive per l’organizzazione e la condotta delle comunità cristiane, e per questo si usa chiamarle “pastorali”.

Un rilievo particolare merita la lettera agli Ebrei.
L’autore della lettera è incerto. Dopo aver studiato la questione dell’attribuzione, il padre della Chiesa Origene concluse che solo Dio sa chi sia l’autore di questo scritto.
In fondo la cosa non è importante. Chiunque l’abbia scritta, l’autore conosceva molto bene la situazione e trattava un argomento di notevole rilievo.
La lettera comprende diversi temi teologici di particolare interesse.
Viene dato risalto alla superiorità di Cristo: ai credenti Ebrei che sono esitanti nella loro fede in Cristo, l’autore fa notare che non c’è nessun altro a cui rivolgersi. Dove si può trovare di meglio di Gesù che è l’immagine visibile di Dio, assolutamente superiore a Mosè, ad Aronne, agli angeli?
L’antica alleanza è stata abolita e la nuova è già operante: perchè quindi si dovrebbe far ritorno ad un patto che Dio ha abolito ?
Gesù sacerdote è ora assiso in eterno alla destra del Padre e intercede sempre per noi. Egli sa che cosa significhi essere uomo, perciò la sua perorazione è fatta con cognizione di causa, e noi possiamo presentarci coraggiosamente al trono di Grazia, sicuri di trovarvi aiuto in qualsiasi momento di bisogno.
E’ assolutamente necessario perseverare.
E’ facile arrendersi e smarrirsi nel deserto, come fecero gli antichi padri. Ciò non deve più verificarsi, e non si verificherà se il credente non si scoraggia.
L’autore esalta quindi le glorie della fede e coloro che l’hanno esercitata. Il cap. 11 è una meravigliosa esaltazione di coloro che hanno perseverato, fortificati dalla loro fede nel Dio vivente.
Infine i capitoli 12 e 13 contengono istruzioni pratiche per la vita cristiana.
Nel suo insieme questa lettera è una difesa approfondita della fede cristiana contro i suoi denigratori e contro coloro che vorrebbero cercare la salvezza altrove, uno scritto in cui passa ancora il soffio di San Paolo, anche se di autore anonimo, uno dei documenti essenziali della rivelazione del Nuovo Testamento.

Altre lettere apostoliche, le Lettere Cattoliche:

Sette lettere del Nuovo Testamento (Gc; 1, 2 Pt; Gd; 1, 2, 3 Gv), per la destinazione a un gruppo di Chiese o ad una vasta cerchia di fedeli, sono chiamate “cattoliche”.  Sotto forma dell’omelia pastorale noi troviamo in esse l’insegnamento dogmatico e morale che veniva impartito alle comunità dei primi tempi.

La lettera di Giacomo.

Schema della lettera:
1     Natura della vera spiritualità        1,1-27
2    Relazione tra fede e opere        2,1-26
3    Intemperanze della lingua        3,1-18
4    Esortazioni pratiche            4,1-5,7
5    Preghiera e pazienza            5,8-20

L’autore è identificato comunemente con il “fratello del Signore” (Mc 6,3), capo della comunità di Gerusalemme (Gal 2,9; At 12,17; 15,13), martirizzato nel 62. I destinatari sono i giudeo-cristiani che vivono fuori della Palestina.
Nel suo stile Giacomo richiama Gesù e il discorso della montagna. Si possono riscontrare somiglianze in una dozzina di punti e da alcuni accenni si deduce che Giacomo tiene sempre presenti le parole di Gesù.
La lettera ha un carattere pratico, diretto, forte, mirante alla correzione degli errori e senza compromessi. Leggendola si ha la sensazione di essere toccati nella coscienza perchè molti dei problemi trattati da Giacomo esistono ancora nella Chiesa di oggi.
Giacomo fa il paragone tra la spiritualità falsa e quella vera, chiamando quest’ultima “religione pura” (1,27). Essa deve venire dal cuore, è comprensiva e si traduce in attività positiva.
La vera spiritualità è una vita di fede in azione. Ascoltare la Parola e non metterla in pratica significa ingannare noi stessi (1,22). La nostra professione di fede deve essere accompagnata dalla testimonianza di un cambiamento di vita.
Giacomo dedica a questo argomento l’intero capitolo 2. E’ facile dire di non aver fede, ma la verifica della fede non sta nelle parole bensì nelle opere.
Anche Paolo aveva insistito che la fede deve essere operante (Gal 5,6), che dobbiamo portare i pesi gli uni degli altri (Gal 6,2) e che secondo il piano di Dio coloro che sono salvati nella fede praticano le opere buone (Ef 2,10).
Giacomo, dal canto suo, si rende perfettamente conto che “ogni buon regalo e ogni dono perfetto” viene da Dio senza che sia guadagnato (1,16-17). Quindi piena corrispondenza di vedute tra i due apostoli.
Un’altra parte della lettera (cap. 3) parla dei danni che può provocare la lingua. La vera spiritualità sa tenere la bocca chiusa. Troppa gente vuole essere ascoltata anche quando non ha niente da dire o le sue parole sono piene di gelosia e di ambizioni. Quando queste persone aprono la bocca abbonda la discordia, si scatena una tempesta di male e le sofferenze che ne seguono sono enormi. La vera saggezza è buona, pacifica e mite (3,13).
Come Gesù si è mostrato saggio in mezzo a noi, servo di tutti, così noi dobbiamo essere saggi.
La vera spiritualità è altruista, generosa, imparziale e paziente (4,1-5,7). Non dobbiamo badare solo a noi stessi, ma imparare cosa significhi amare in pratica e non solo a parole. Infine la vera spiritualità guarda a Dio nella preghiera in tutti gli avvenimenti della vita. Dio è in grado di aiutarci e apprezza la nostra preghiera.
La preghiera è sempre esaudita da Dio, la cui risposta è sempre quella giusta, perchè Egli sa quel che è meglio per noi.
Si devono raccomandare a Dio tutti i fratelli, specialmente i malati, ai quali si consiglia, in caso di malattia piuttosto grave, di chiamare i presbiteri e gli anziani della Chiesa, perché preghino su di lui, dopo averlo unto con olio nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati (5,13-15).
La Chiesa ha sempre interpretato il testo in relazione alla sacra “Unzione degli infermi”.
Dalla preghiera non sono esclusi i peccatori (5,14-16); se qualche volta non è esaudita, dipende dal fatto che preghiamo male, in peccato (5,16) e per cose non buone (4,13).
La lettera di Giacomo si presenta come lo scritto di un pastore di anime, che, sollecito del bene spirituale dei suoi fedeli, per mezzo di incoraggiamenti (1,2; 5,7), raccomandazioni (3,1) spinge alla pratica costante della vita cristiana, senza la quale la parola di verità seminata nell’anima rimane sterile in ordine alla salvezza.

Le lettere di Pietro (1 e 2), e di Giuda.

Due lettere si presentano come scritte da San Pietro.
Gesù lo scelse fra tutti per edificare su di lui la sua Chiesa.
La Chiesa in realtà è fondata su Cristo (1 Cor 3,11), ma fu Pietro che predicò nella festa di Pentecoste, fu lui uno degli strumenti principali della diffusione del Vangelo, fu lui che aprì le porte ai gentili con la testimonianza resa a Cornelio, fu lui che appoggiò con la sua autorità le attività della Chiesa fin dall’inizio.
Pietro era chiaramente la “pietra” sulla quale poggiava lo sviluppo della Chiesa. Purtroppo non fu sempre la roccia che doveva essere, ma Gesù completa Lui quello che non riusciamo a fare, purchè ci si preoccupi di offrire una testimonianza sincera, fatta con il cuore.

Lo schema della prima lettera è il seguente:
Natura della nostra salvezza                1,1-21
Crescita come cristiani                    1,22-2,10
Esortazioni per la vita cristiana            2,11-3,22
Esortazioni morali                    4,1-19
Esortazioni agli anziani
5,1.14
… e della seconda:
Vivere una vita cristiana                1,1-21
I falsi dottori                        2,1-22
Certezza del ritorno di Gesù Cristo        3,1-18

La prima lettera di Pietro contiene diversi importanti temi teologici.
Primo, Pietro vuole che i suoi lettori riflettano sul valore della salvezza. Abbiamo una eredità tenuta da parte per noi in cielo, un’eredità “che non si corrompe, non si macchia e non marcisce” perchè è protetta da Dio. Se ci viene richiesto di rinunciare alla nostra vita terrena, ciò non ha importanza a confronto della gloria che ci aspetta. Ma anche se non ci è richiesto di morire per la nostra fede, vale comunque la pena di vivere per raggiungere questa gloria.
Secondo, Pietro sottolinea la necessità di crescere spiritualmente. Quando diventiamo credenti, siamo come bambini che necessitano di un nutrimento semplice; ma man mano che cresciamo abbiamo bisogno di un cibo più sostanzioso.
I credenti crescono nutrendosi di preghiera, di meditazione, della lettura della Parola di Dio e di solidarietà con i fratelli.
Terzo, Pietro dedica buona parte della lettera a parlare della vita cristiana. Dobbiamo renderci conto che il tempo a nostra disposizione sulla terra è breve: la nostra vita è come l’erba che presto appassisce. In vista di ciò, dobbiamo star saldi contro il male e rifiutare di adeguarci alle macchinazioni distruttive del mondo in cui viviamo. Siamo tentati di agire come tutti gli altri, ma dobbiamo resistere alla tentazione. Quando sorgono le persecuzioni dobbiamo essere disposti a soffrire, come ha fatto Gesù che ci ha lasciato un esempio da seguire (2,21-25). Quando satana ci attacca noi dobbiamo resistergli nella fede, nella certezza che se rifiutiamo le sue offerte fuggirà da noi (5,8-9).
Dobbiamo affidare tutte le nostre preoccupazioni e ansietà a Colui che si prende cura di noi.
Infine Pietro rivolge esortazioni specifiche a mariti, mogli, servi e credenti. Le sue parole sono incentrate sul concetto dell’impegno dell’amore vicendevole in vista di una vita migliore per tutti.
Quelli che sono guide nella Chiesa devono agire con rispetto per tutti. Nessuno deve spadroneggiare sugli altri, poichè siamo tutti figli di Dio. Dobbiamo piuttosto vestirci di umiltà perchè questo il Signore desidera da noi.

Nella seconda sua lettera Pietro presenta tre temi teologici fondamentali.
Primo, Pietro vuole incoraggiare i credenti a tener fede alla loro vita cristiana. La potenza divina di Dio ci ha fornito tutto ciò che è necessario per poter vivere per lui, ma spetta a noi fare uso di questi aiuti. Il modo concreto di valorizzare la potenza di Dio consiste nell’esercizio delle virtù cristiane: fede, fortezza, conoscenza, autocontrollo, fermezza, timor di Dio, affetto fraterno e amore. Quando pratichiamo queste virtù nella nostra vita quotidiana abbiamo la certezza che siamo sulla strada giusta, anche se non sappiamo a che punto siamo del cammino.
Un secondo tema di questa lettera è la denuncia di coloro che respingono il Vangelo, i falsi dottori o falsi profeti.
Il terzo tema riguarda la seconda venuta di Cristo. Pietro vuole rassicurare i suoi amici che Gesù sicuramente tornerà e che alla sua venuta il mondo sarà rinnovato; in questa “nuova terra” avrà stabile dimora la giustizia.

La lettera di Giuda.

Schema della lettera:
Saluti                    1,1-2
Difendere la fede            1,3-4
I detrattori del Vangelo        1,5-16
Esortazioni pratiche            1,17-25

L’autore viene identificato come uno dei parenti di Gesù (Mt 13,55). Questa breve lettera contiene tre importanti temi teologici.
Primo, Giuda mette in guardia i credenti da persone perverse che cercavano di sfruttare il Vangelo per i loro scopi personali.
Secondo, vuole che i credenti si rendano conto di avere una responsabilità nei confronti del Vangelo, e devono difenderlo qualora sia necessario.
Giuda infine espone una serie di esortazioni pratiche relative alla vita cristiana. Devono rafforzarsi nella fede; pregare lo Spirito Santo; vivere nell’amore di Dio; attendere la manifestazione della misericordia di Gesù; rifuggire dall’immoralità dilagante nel mondo.
Tutto ciò sarà possibile perché Gesù è in grado di sostenerci. Egli è il nostro Signore e Salvatore, che possiede la gloria, il dominio, la maestà e l’autorità di Dio e che è in grado di proteggerci da ogni male.

1°, 2°, 3° Lettera di San Giovanni

Schema delle lettere di Giovanni:
1 Giovanni
Vivere la vita cristiana         1,1-2,2
Vivere nell’amicizia di Dio        2,3-29
Vivere lontano dal peccato        3,1-24
Vivere nell’amore            4,1-21
Vivere nella fiducia di Dio        5,1-21
2 Giovanni
Saluti                    1,1-3
Amore e sana dottrina        1,4-11
Saluti conclusivi            1,12-13
3 Giovanni
Saluti                    1,1-4
Esortazioni alla vita cristiana    1,5-12
Conclusione                1,13-14

Le tre lettere di Giovanni possono essere considerate insieme perchè sono state scritte nello stesso periodo di tempo, alla stessa chiesa e dallo stesso autore, l’apostolo Giovanni.
Giovanni era stato uno dei primi seguaci di Gesù, fin dal tempo di Giovanni Battista. Era un pescatore. Profondamente attaccato a Gesù, assieme a Pietro e a Giacomo era uno dei suoi amici più intimi. Già agonizzante sulla croce Gesù gli chiese di prendersi cura di sua madre Maria, indicando con ciò la fiducia che aveva in lui.
Gli anni trascorsi con Gesù trasformarono il suo carattere da irruente e aggressivo in sereno ed amorevole. Dopo la morte del Maestro e la sua risurrezione Giovanni trascorse la maggior parte della sua vita ad Efeso, dopo essere stato relegato per un certo tempo nell’isola di Patmos, dove ebbe la visione da lui descritta nel libro dell’Apocalisse.
Nell’esaminare questi scritti dobbiamo considerare che verso la fine del primo secolo erano sorte false teorie che dovevano essere combattute, una in particolare negava che Gesù fosse un vero uomo.
E’ interessante notare che il primo insegnamento errato sulla persona di Cristo non fosse una negazione della sua divinità, ma della sua umanità. E Giovanni insiste che Gesù è stato visto, toccato e ascoltato, e che lui stesso lo ha conosciuto come un essere umano.
Nella sua prima lettera, la più lunga delle tre, Giovanni dedica uno spazio considerevole alla necessità di vivere una vita cristiana, e al modo di attuarla in pratica. Dobbiamo riconoscere il nostro bisogno della grazia di Dio; osservare i suoi comandamenti; amare il prossimo; resistere alle lusinghe del mondo e alle tentazioni; guardarci dal peccato; verificare le rivendicazioni di chiunque in materia di verità.
Giovanni pone particolare enfasi sull’amore. Dio è amore, e coloro che amano nel modo giusto conoscono veramente Dio. Il vero amore è liberatore e guaritore. Dio ha mandato Gesù sulla terra per incarnare e manifestare questo amore, in modo che noi che crediamo in Lui possiamo provare un simile amore.
Giovanni vuole anche mettere i cristiani in guardia contro i pericoli che stanno in agguato. Molte realtà sono contrarie alla vita cristiana. Se ci rendiamo conto di questo fatto, non ci lasceremo sorprendere impreparati. Conoscere il male significa resistere al demonio e ai suoi continui assalti per impossessarsi della nostra vita.
Infine Giovanni esorta i cristiani ad avere fiducia in Dio e nella sua opera nella nostra vita. Non dobbiamo lasciarci prendere dal dubbio, dalla disperazione, dall’ansietà o dalla paura. Dio ha la situazione in mano e merita la nostra fiducia. Possiamo stare certi della nostra vita eterna perchè siamo certi della bontà di Dio. La conoscenza di questo fatto deve consentirci di vivere liberamente e decisamente di fronte a tutto ciò che è contrario.
La seconda lettera di Giovanni è indirizzata a una persona chiamata “Signora eletta”. Giovanni le raccomanda due cose. Prima l’amore vicendevole nella vita cristiana; senza amore non possiamo conoscere Dio. Seconda, stiamo saldi nella dottrina ricevuta e guardiamoci dai falsi dottori che negano la verità.
La terza lettera è indirizzata a un anziano di nome Gaio. E’ un’esortazione a praticare l’ospitalità, a seguire la verità, a imitare i buoni esempi e a combattere ciò che è male.

“Chi è l’anticristo?”

Se vogliamo sapere cosa sia per Giovanni l’anticristo, più che all’Apocalisse dobbiamo guardare alle sue prime due lettere. E’ qui che il termine anti-Cristo, coniato da Giovanni, compare per la prima volta; esso significa: “Colui che è contro Cristo” ossia “colui che nega che Gesù è il Cristo” (1Gv 2, 22). Il brano fondamentale sta un po’ prima: “Figlioli, è l’ultima ora, e avete udito che un anticristo deve venire, ma ora molti anticristi sono apparsi; da ciò riconosciamo che è l’ultima ora. Di mezzo a noi sono usciti, ma non erano di noi; se fossero stati di noi, sarebbero rimasti con noi; ma doveva essere reso manifesto che loro, tutti quanti, non sono di noi” (1Gv 2, 18-19).
Ecco, dunque, la prima caratteristica dell’avvento dell’anticristo: si tratta di un evento ecclesiale, prima che politico. L’anticristo come figura misteriosa, ancora non precisata, la cui venuta viene descritta anche da Paolo (2Tess 2, 7-8) come uno dei segni degli ultimi tempi, assume nelle lettere di Giovanni dei connotati storici precisi. Coincide con il manifestarsi della prima dolorosa frattura nel seno della comunità cristiana.
Gli anticristi sono i primi eretici, come gli gnostici, coloro cioè che hanno rotto l’unità della comunità attorno a Cristo. Il loro è il delitto più grave, quello che Giovanni chiama “peccato d’iniquità”: essere contro Gesù Cristo. Non riconoscere Gesù venuto nella carne, e quindi, come spiega anche la seconda lettera, voler andare oltre: “Chi va oltre e non rimane nella dottrina di Cristo, non possiede Dio” (2Gv 9).
Nella prima lettera, la figura dell’anticristo viene menzionata insieme agli altri due antagonisti dei cristiani: il maligno (“Ve lo scrivo, giovani: avete vinto il maligno”, 1Gv 2, 13), e il mondo (“Non amate il mondo, né ciò che è nel mondo”, 1Gv 2, 15). Tra questi tre soggetti c’è un legame stretto: le singole persone, definite anticristi, che rinnegando Gesù Cristo hanno provocato la divisione della comunità, rappresentano un potere collettivo, il mondo, che si è chiuso all’amore del Padre ma che è ispirato dal potere del maligno. In questo senso l’anticristo, in quanto ispirato dal maligno, cioè satana, svela la sua dimensione essenziale, escatologica, che ci riconduce all’Apocalisse.
L’evento ecclesiale dello scisma per eresia viene svelato nella sua drammaticità di evento escatologico: dietro il delitto degli anticristi c’è l’azione del maligno nella sua lotta contro il regno messianico. Un’opposizione destinata alla sconfitta, perché il maligno sa che il Signore ha già vinto. Ma proprio l’approssimarsi del rivelarsi definitivo della vittoria rende il diavolo più rabbioso nella persecuzione dei discepoli di Gesù lungo la storia: “Esultate dunque, o cieli, e voi che abitate in essi. Ma guai a voi, terra e mare, perché il diavolo è precipitato sopra di voi pieno di grande furore, sapendo che gli resta poco tempo”  (Ap 12, 12).