Sofonia, Naum, Abacus

Documento

Il profeta Sofonia

Sofonia è il primo di una serie di profeti inviati da Dio al regno meridionale di Giuda prima della sua caduta nel 587 A.C. e dopo la caduta del regno settentrionale di Israele nel 722 A.C.
Isaia e Michea erano stati testimoni della presa di Samaria, capitale del regno settentrionale, ma erano morti prima del periodo di Sofonia.
Questi fu seguito da Geremia, Abacuc ed Ezechiele, tutti con un messaggio particolare per il regno di Giuda.
Sfortunatamente, però, anche questa nazione non prestò alcuna attenzione agli avvertimenti che Dio le aveva mandato.
La situazione storica era la seguente. Dopo la morte di Ezechia, uno dei pochi re di Giuda osservanti della legge, gli successe al trono il figlio Manasse.
Questi era un uomo totalmente malvagio, in tutto opposto a suo padre e disposto a tollerare il dilagare della corruzione nel paese. Egli favorì inoltre il ritorno alle pratiche di culti pagani, come il culto di Baal, l’astrologia, l’adorazione degli spiriti e il sacrificio di bambini.
Manasse perseguitò i profeti e soppresse il culto a Dio.
Secondo una leggenda ebraica, Manasse avrebbe approvato la condanna a morte del profeta Isaia, anche se questo non può essere documentato nè a colpa nè a discolpa.
Suo figlio Amon seguì in tutto le orme del padre; invece il figlio di Amon, Giosia (639-609 A.C.) cercò di invertire la rotta che portava al disastro. Nel 621 A.C. Giosia attuò una riforma religiosa e morale di vasta portata, in parte stimolato dagli ammonimenti di Sofonia.
E’ con Sofonia che Israele scopre che la sua situazione miserevole l’ha condotto ad afferrare la sua realtà di fronte a Dio, che è quella di un povero.
Sofonia definisce il “resto” con l’immagine della Figlia di Sion (3,14-18): una piccola comunità povera di beni materiali, libera soprattutto di falsa ricchezza interiore, una comunità che è sicura della presenza del suo Dio, e i cui occhi sono a questo punto illuminati dalla fede e dalla sicurezza nella vittoria di Dio; questa è l’immagine che Sofonia dà del “resto”, dell’Israele delle sue speranze.
Questa immagine è cosi’ perfettamente quella che la Chiesa sa di dover realizzare, che una parola di Sofonia è sembrata in grado di esprimere e cantare l’amore del Nuovo Testamento: “Rallegrati, Figlia di Sion (3,14)…” (cf. “Rallegrati, Maria !” – Lc 1,28).
Quello di Sofonia è un messaggio di denuncia del male dilagante nel paese, con la terribile minaccia che se Giuda non si fosse pentito, tutto sarebbe stato perduto.
Sofonia inoltre approfondisce ulteriormente il concetto del “giorno del Signore”.
Secondo la credenza popolare, il giorno del Signore significava la rivincita della nazione sui suoi nemici. Sofonia invece sostiene che si tratta del giorno del giudizio prima di tutto per il popolo giudaico, e solo in un secondo tempo per i suoi nemici.
Il messaggio termina con promessa di restaurazione (3,9-20), che va oltre il semplice ritorno in patria e prevede un’era di benessere universale per tutta la terra.
Schema del libro:
1) Messaggio del giudizio di Dio        1,1-2,3
2) Oracoli contro specifiche nazioni    2,4-3,8
3) Promessa di benedizioni future        3,9-20

Il profeta Naum

Naum, nativo di Elcos in Giudea, è il profeta il cui ministero è diretto esclusivamente alla città di Ninive.
Giona era stato inviato a predicare a Ninive circa 100 anni prima, e molti degli abitanti avevano risposto positivamente alla sua predicazione.
Negli anni successivi, tuttavia, si era verificato un cambiamento di mentalità oltre che di governo, e Ninive era tornata al suo vecchio stile di vita. Dio pertanto diede a Naum l’incarico di predicare l’incombente giudizio sulla capitale assira in un periodo non meglio precisato tra il 663 A.C. e la caduta della città nel 612 A.C.
Schema del libro:
1) Profezia di giudizio        1,1-14
2) La caduta di Ninive        2,1-14
3) Causa della caduta        3,1-19
Il messaggio di Naum ci mostra Israele che celebra Dio con i suoi canti di lode.
Canta il suo dominio sul cosmo; rinforza così la sua fede nella potenza, la bontà, la “passione” stessa con cui Dio regola la storia, dal momento che il cuore di questo messaggio è trarre il senso del presente che si vive e del futuro verso il quale si cammina.
Il profeta esprime un giudizio incombente sulla città. I suoi crimini saranno puniti, specificatamente l’idolatria (1,14), l’arroganza (1,11), l’omicidio, la falsità, il tradimento, la superstizione e i peccati di carattere sociale (3,1-19).
A causa di tutto ciò la città verrà distrutta.
Gli dei e le dee di Ninive non contavano nulla. Dio, l’unico esistente, ritiene responsabile l’uomo per il suo comportamento nei suoi confronti, e questo in ogni epoca della storia fino alla fine dei tempi.
Questa è la verità, che si sappia o no, che la accettiamo o no. Dio solo è Dio.
Gli abitanti di Ninive avrebbero presto sperimentato che riporre la fiducia negli idoli significava fare affidamento sul legno e sulla pietra, quindi su niente.
Nonostante tutto ciò, Dio è disposto a salvare la città a patto che si ravveda.
Dio è sempre in cerca degli sbandati, è lento all’ira (1,3) è buono (1,7), è un asilo sicuro per quelli che si affidano a Lui nel giorno dell’angoscia (1,7).
Dio manda “buone notizie” a coloro che sono disposti ad ascoltare (2,1), tema ripreso in seguito dagli autori del Nuovo Testamento per descrivere il ministero di Gesù e la predicazione del Vangelo (= la “buona notizia”).

Il profeta Abacuc

Abacuc invita ad una meditazione profetica sulla storia che Giuda sta vivendo; egli prolunga questa meditazione con un salmo in cui il popolo, ricordando i benefici di Dio nella storia passata, pone in questo ricordo la certezza che Dio sta per intervenire per riportare una vittoria definitiva sui nemici di oggi.
Ai fedeli il profeta lancia un messaggio che è un appello alla fedeltà, la sola condizione della sopravvivenza di Israele.
Abacuc ritrova così il messaggio di Isaia 7,9 che non voleva mostrare a Israele altra possibilità di esistenza che appoggiarsi su Dio: San Paolo nella lettera ai Romani approfondirà la portata di tale messaggio (Rom 1,17).
Abacuc esercitò il suo ministero negli ultimi anni del regno di Giuda, poco prima della sua distruzione da parte dei Babilonesi nel 587 A.C.
Nell’anno 605 A.C., nella grande battaglia di Carchemis, i Babilonesi avevano sconfitto ciò che rimaneva del vecchio esercito assiro e gli Egiziani. Questa vittoria consentì a Babilonia di imporsi come nuova potenza mondiale e di esercitare il suo controllo sulle rotte commerciali che collegavano l’Egitto alla Mezzaluna fertile, passando per il territorio di Giuda. Sarebbe stato solo questione di tempo perchè Giuda sentisse la pesante mano di Babilonia.
Abacuc, con intuito profetico, era cosciente di questo pericolo.
Abacuc si astenne dall’inveire contro i peccati di Giuda come tali, preferendo affrontare il problema in modo diverso. Poichè era convinto che Dio è buono e onnipotente, nella sua predicazione si chiedeva perchè Dio aveva permesso che succedessero quelle cose. Certo, il popolo di Giuda era peccatore, ma Dio era abbastanza potente da porre rimedio alla situazione; allora perchè non interveniva ?
Questo modo di affrontare il problema era del tutto nuovo nell’Antico Testamento. Il libro di Giobbe vede il male da un punto di vista analogo, ma tra i profeti è solo Abacuc che lo esprime in termini chiari.
Per trasmettere il suo messaggio Abacuc adotta il metodo “domanda e risposta”; il profeta pone la domanda, Dio risponde.
La prima domanda si trova in 1,2-4. Sostanzialmente è: perchè Dio permette il male ? La giustizia è calpestata, i poveri sono oppressi, la violenza regna dovunque; e tutto ciò, sembra, con il consenso di Dio.
La risposta si trova in 1,5-11. Dio risponde che è in procinto di intervenire a punire i peccati che vede in Giuda.
Per questo utilizzerà i Caldei (Babilonesi) come bastone della sua ira.
I Caldei sono terribili guerrieri, orgogliosi, idolatri della loro stessa forza, senza pietà verso i prigionieri e sicuri della vittoria.
Tale domanda richiama alla mente di Abacuc un’altra domanda ancora più impegnativa. Per attuare il suo castigo, come può Dio avvalersi di una nazione peggiore di Giuda (1,12-2,1) ?
Dio è talmente puro che non può neppure vedere il male; eppure ha intenzione di avvalersi dei Babilonesi. Come può essere ?
Dio offre una risposta in due parti. In 2,6-19 risponde all’aspetto pratico e storico della domanda: anche Babilonia sarà punita a suo tempo. In 2,2-4 l’aspetto teologico della domanda di Abacuc riceve una risposta che contiene una delle più importanti affermazioni della Bibbia: “Il giusto vivrà per la sua fede”.
Dio dice ad Abacuc che la logica umana può fallire, ma non la sapienza di Dio. Anche se noi non comprendiamo il perche’ delle cose, ciò non significa che non esista alcuna risposta.
La risposta ce l’ha Dio, e quelli che vogliono essere giusti (retti) davanti a Dio devono fidarsi di Lui e vivere nella fede. In un certo senso questa non è una risposta diretta alla domanda, ma piuttosto un invito a chiedersi chi è Dio. Perciò Abacuc capisce di aver parlato troppo.
L’atteggiamento più consono per stare alla presenza di Dio è il silenzio: il silenzio della semplice accettazione, non il silenzio imbronciato della rassegnazione al nostro destino (2,20).
Segue poi una delle più belle preghiere dell’Antico Testamento, che termina con la professione di fede di Abacuc (3,18-19).
Noi possiamo rallegrarci nel Signore anche se siamo privati di ogni cosa.
Poichè questo accadde effettivamente ad Abacuc, il profeta è un esempio del modo di affrontare la peggiore delle situazioni in cui possiamo incorrere.
Il libro contiene un altro tema importante. Abacuc mostra come Dio fosse in grado di avvalersi dell’opera dei Babilonesi, anche se essi non lo riconoscevano come Dio.
Dio è il Signore di tutta la terra, anche di coloro che si rifiutano di accettarlo. Per Dio tale rifiuto in realtà ha scarsa importanza, poichè egli è l’unico Dio esistente, senza rivali.
Questa constatazione dovrebbe esserci di grande conforto quando siamo tentati di pensare che Dio non sia in grado di intervenire, semplicemente per il fatto che alcune persone che ci stanno a cuore non riconoscono la sua esistenza.

Schema del libro:
1)     Introduzione    1,1
2)    Il problema del peccato di Giuda    1,2-4
3)    Giudizio per il peccato di Giuda    1,5-11
4)    Seconda domanda di Abacuc    1,12-2,1
5)    Risposta di Dio e richiamo alla fede    2,2-19
6)    Trionfo della fede di Abacuc        2,20-3,19

La fede nei profeti: da Isaia ad Abacuc

Non esiste nella Bibbia il termine “fede”, isolato, da solo. Esiste il verbo credere, avere fede, diventare certi di qualcosa o di qualcuno.
Di solito il verbo “credere” e’ seguito dal complemento: Abramo credette nel Signore (Gen 16,6); “il popolo credette nel Signore e nel suo servo Mose'” (Es 14,31).
Pochi passi usano il verbo senza complemento di persona o di cosa, e di questi i due passi teologicamente più importanti si trovano in Isaia 7,9 e in 28,16.
Nel primo passo Isaia interviene e dice al re Acaz: “Cerca di stare calmo, non temere” (7,4). Il pericolo minacciato, secondo il profeta non si realizzerà: e ve ne è il motivo.
Il motivo è che il vero re di Gerusalemme non è Acaz, ma il Signore del mondo. Quindi Acaz non deve temere, perchè chi è all’opera per la difesa di Gerusalemme non è lui, ma il Signore.
Tanto più uno ha fede in Dio, tanto meno ha da temere di fronte ai suoi nemici. “Credere” è sorgente, ma anche frutto, della sicurezza, del non timore nelle avversità.
Che cosa significa per Isaia questa “fede”, questo atto fondamentale che è il credere ?
Significa due cose: la prima è non lasciarsi prendere dalla paura; la seconda è saper guardare all’opera che sta compiendo Dio, non a quello che facciamo noi.
Non farsi prendere dalla paura, non scoraggiarsi, non cadere nel panico: chi crede davvero non si lascia turbare, conserva la calma (cf. Is 30,15).
Serenità della fede ! Quiete fiduciosa, fede calma: “Quiete e fiducia per sempre” (Is 32,17).
Eppure il lavoro, l’attività è la prima reazione dell’uomo di fronte alla minaccia, alla paura: fare qualcosa, escogitare stratagemmi difensivi, contrarre alleanze…
Invece c’è solo da affidarsi a Colui che opera tutto in tutti. Dio stesso, dice Isaia, talvolta se ne resta come estraneo proprio per prendere le distanze dal frenetico e controproducente attivismo degli uomini (cf. Is 18,4).
La ricerca della pace e della sicurezza va trasferita in un altro ambito: in quello dello spirito, della fede, non in quello dei mezzi, dei calcoli, delle operazioni umane. Perchè ciò che è inattivo, inoperante, sul piano umano, è molto più efficace, spiritualmente operoso, di quanto si possa realizzare in maniera visibile.
Le operazioni visibili assorbono tutta l’energia degli uomini e la distraggono dall’unica realtà veramente importante: quello che opera Dio.
Certo occorre che anche l’uomo sappia darsi da fare, ma con lo sguardo sempre rivolto in alto, con totale fiducia nell’efficacia dell’opera di Dio.
Pertanto per Isaia, “credere” significa sia non temere di fronte alle avversità, sia saper guardare a quello che opera Dio piuttosto che alle nostre piccole e ansiose operazioni.
Se ci fidiamo di Dio abbiamo familiarità con Lui, in qualche modo contiamo sempre sulla sua presenza perchè facciamo esperienza di Lui, Lo conosciamo.
Conoscere Dio è aver incontrato la sua giustizia: “Il giusto per la sua fede vivrà!” dirà Abacuc.
San Paolo, in queste parole coglie un’altra espressione: “Il giusto per fede vivrà (cioè sarà giustificato) – cf Rm 1,17; Gal 3,11). Ma è possibile anche affermare: il giusto vivrà in virtù della sua fede. Il giusto vivrà agendo giustamente, proprio grazie alla sua fede, alla sua conoscenza di Dio.
Tutta la nostra vita si svolge sotto lo sguardo del Signore, ma abbiamo bisogno di prenderne coscienza per stabilire un rapporto di amicizia sincera e affrontare il peso di ogni giorno in familiarità, in vera intimità con Lui.
In questo modo, in qualsiasi condizione e circostanza facile o difficile, si può svolgere con ferma speranza il nostro cammino versola Vita.