Discorso evangelico inaugurale (cap. 5-6-7)

Documento (VANGELO DI MATTEO)

Il rischio grosso nella vita cristiana è sempre quello di cercare la grazia a buon mercato. Questo è assolutamente impossibile da realizzare. Infatti il tesoro nascosto nel campo, per amore del quale l’uomo va a vendere con gioia tutto ciò che aveva, è grazia a caro prezzo che comporta rinunce.
Grazia a caro prezzo è il vangelo, che si deve sempre di nuovo meditare, il dono per cui si deve sempre pregare, la porta a cui si deve di nuovo bussare.
La grazia è a “caro prezzo” soprattutto perchè è costata cara a Dio, perchè gli è costata la vita di suo Figlio: grazia a caro prezzo è l’incarnazione di Dio, la Parola che ci coinvolge come chiamata a seguire Gesù, come parola di remissione per l’anima angosciata e il cuore infranto (cf. Salmo 51,19).
A caro prezzo è la grazia, perchè invita appassionatamente a seguire Gesù mite ed umile di cuore che dice: “Il mio giogo è soave e il mio carico è leggero” (Mt 11,30).
Queste sono le ragioni per cui dobbiamo amare la Parola di Dio che ci è stata donata e prenderla assolutamente sul serio.
In questa sezione del vangelo di Matteo, Gesù ha esposto lo spirito nuovo del regno di Dio con un discorso inaugurale, in cui sono trattati cinque temi principali:
1) Quale spirito deve animare i figli del regno, a partire dalle Beatitudini ( 5,1-48).
2) Con quale spirito essi devono “perfezionare” le leggi e le pratiche del giudaismo ( 6,1-18).
3) Il distacco dalle ricchezze ( 6,19-34).
4) Le relazioni con il prossimo (7,1-12).
5) Entrare nel regno con una scelta decisa che si traduca in opere (7,13-27).

Possiamo subito affermare che Gesù non pretende nulla da noi, senza darci la forza di farlo. Il comandamento del Maestro di Nazaret, infatti, non mira mai a distruggere la vita, ma al contrario a conservarla, a rinvigorirla, a sanarla.
Gesù Cristo che ordina di seguirlo, è il solo a sapere dove porti la via. Ma noi sappiamo con la massima certezza che sarà una via di misericordia al di là di ogni misura.
Seguire Gesù, anche quando è difficile e impegnativo, porta gioia.
Alle pendici del monte, una delle colline vicine a Cafarnao, la moltitudine del popolo vede Gesù con i discepoli che si sono raccolti intorno a lui. I discepoli, fino a poco prima, avevano fatto parte anch’essi della moltitudine del popolo. Erano proprio come tutti gli altri.
Poi è venuta la chiamata di Gesù, ed essi hanno lasciato tutto per seguirlo. Da allora appartengono a Gesù integralmente: vanno con lui, vivono con lui, lo seguono dovunque. Ora i discepoli sono poveri e vivono la precarietà: essi hanno solo lui. In effetti, avendo lui, non hanno niente nel mondo, assolutamente niente, ma hanno tutto presso Dio.
… perciò: beati ! Egli li chiama beati non per la loro miseria o la loro rinuncia. Miseria e rinuncia in sè non costituiscono in nessun modo un motivo di beatitudine. Beati sono detti i discepoli a causa della chiamata di Gesù che essi hanno seguito. Beato viene chiamato l’intero popolo di Dio a causa della promessa che lo riguarda.
Le beatitudini ( 5,1-12) possono essere viste come una interpretazione in positivo dei Dieci Comandamenti: Invece di “Non fare…” qui si proclama “Beati quelli che…” perchè questo è il momento della “pienezza dei tempi” e la maturita’ del popolo di Dio è certo maggiore rispetto ai tempi di Mosè.
Gesù mette in evidenza l’importanza di virtù fondamentali che sono espressione di un buon equilibrio umano e spirituale: distacco dai beni materiali, umiltà, mitezza, esigenze di giustizia, capacità di compassione, impegno per una vera pace … ma tutto questo costa impegno faticoso e sofferenza come frutto di una autentica coerenza di vita, come un comportamento che guarda oltre le conseguenze pratiche da sopportare, ma che è aderente all’esempio di Gesù.
Questa è la via della pace nel cuore del discepolo fedele che vuole offrire una testimonianza di amore al Maestro divino.
“Voi siete il sale della terra ! Voi siete la luce del mondo ! ( 5,13-16). La chiamata di Gesù alla vita di fede secondo Dio, attribuisce alla comunità dei discepoli non solo l’efficacia invisibile del sale, ma anche lo splendore visibile della luce. Ma non dipende dai discepoli esserlo o no: è la chiamata stessa che li ha resi tali: la luce non è qualcosa che sia stato loro dato, ad esempio la capacità della predicazione, ma sono “loro stessi” la luce nella misura in cui custodiscono nel loro cuore la Presenza del Figlio di Dio e agiscono secondo la Sua ispirazione, e non secondo loro stessi.
In questa luce le opere buone prodotte da Gesù in loro, costituiscono uno splendore visibile, e questa luce è unita strettamente alla croce, dal momento che offrire una sincera testimonianza comporta sicuramente anche sofferenza, come è stato per Gesù.
Se le opere buone fossero semplicemente frutto di virtù umane non si dovrebbe lodare il Padre a causa di esse, ma il discepolo. Mentre, per l’azione potente della grazia che si rivela visibilmente nella vita di chi segue Gesù con sincerità, gli altri “vedono” e credono in Dio. E questa è già la luce della Risurrezione.


“Quando pregate….”
Con l’esempio (14,23), come con le istruzioni, Gesù ha insegnato ai suoi dicepoli il dovere e la maniera di pregare. La preghiera deve essere umile davanti a Dio (Lc 18,10-14) e davanti agli uomini (Mt 6,5-6; Mc 12,40), fatta con il cuore piuttosto che con le labbra (Mt 6,7), fiduciosa nella bontà del Padre (Mt 6,8; 7,7-11) e insistente fino all’importunità (Lc 11,5-8; 18,1-8).
E’ esaudita se è fatta con fede (Mt 21,22), in nome di Gesù (Mt 18,19-20; Gv 14,13-14; 15,7-16; 16,23-27), e chiede cose buone (Mt 7,11) come lo Spirito Santo (Lc 11,13), soprattutto l’avvento del regno di Dio e la perseveranza nel momento della prova (Mt 24,20; 26,41; Lc 21,36; cf. Lc 22,31-32): qui vi è tutto l’insegnamento della preghiera-modello, il Padre Nostro insegnato da Gesù (Mt 6,9-15).
Riguardo poi all’adempimento della legge, egli non ha niente da aggiungere ai comandamenti di Dio; li osserva, e questa è l’unica cosa necessaria.
Piuttosto con Gesù il precetto antico diventa interiore e raggiunge perfino il desiderio e il movente segreto (5,17ss; cf. 12,34; 23,25,28).
Così Gesù pone nuovamente in vigore la legge come legge di Dio. Dio è il datore e il Signore della legge, e solo nella comunione personale con Dio in assoluta sincerità la legge è veramente adempiuta.
Non c’è adempimento della legge infatti senza comunione con Dio, e non c’è alcuna comunione con Dio senza adempimento della legge.
Gesù, Figlio di Dio, l’unico ad essere pienamente in comunione con Dio, per amor suo ripristina la legge, poichè egli viene per adempiere la legge dell’antico patto ed è il solo che può insegnare in modo giusto la legge e il modo di adempierla. Gli ebrei non potevano capirlo finchè non avessero creduto in lui. Perciò era inevitabile che respingessero il suo insegnamento sulla legge come blasfemo nei confronti di Dio. Per cui Gesù deve patire a causa dei difensori della legge intesa in modo sbagliato, per amore della vera legge di Dio.
Gesù muore sulla croce come bestemmiatore e trasgressore della legge, per aver contrapposto la vera legge al fraintendimento della legge, alla legge sbagliata.
E’ lui stesso, come crocifisso, l’adempimento della legge, e il cammino dei discepoli verso la legge passa per la croce di Cristo.
In Gesù il servizio al minimo dei fratelli e il servizio divino sono diventati tutt’uno: Egli andò e si riconciliò con il fratello, poi ha portato l’unico, vero sacrificio al Padre: se stesso.
Ed è grazia potersi accordare con il fratello, riconoscergli il suo diritto; è grazia la possibilità di riconciliarsi con lui. Il fratello è la nostra grazia davanti al tribunale del giudizio: questo è l’amore del crocifisso.
Così questa legge è adempiuta solo nella croce di Gesù.
L’impurità della cupidigia è incredulità. Soprattutto per questo va respinta. Ciò che si acquista attraverso il piacere è ben poco di fronte al danno che se ne riceve: tu acquisti il piacere dell’occhio e della mano per un attimo, ma perdi il corpo per l’eternità. Il tuo occhio, che serve alla impura cupidigia, non può vedere Dio.
Anche il corpo del discepolo appartiene a Cristo e alla sequela, e i nostri corpi sono membra del suo corpo. Perchè Gesù, Figlio di Dio, ha avuto un corpo umano, e poichè noi abbiamo comunione con il suo corpo, per questo la lussuria è un peccato contro lo stesso corpo di Cristo.
Il corpo di Cristo è stato crocifisso. L’apostolo dice di coloro che appartengono a Cristo, che essi crocifiggono il loro corpo con i suoi piaceri e le sue cupidigie (Gal 5,24). Così anche l’adempimento di questa legge dell’Antico Testamento si realizza solo nel corpo crocifisso e martoriato di Gesù Cristo. La vista e la comunione di questo corpo, dato per i discepoli, è per loro fonte della forza di mantenersi nella castità che Gesù comanda.
In generale sembra che il Signore voglia invitare a fare attenzione a come si deve ascoltare il vangelo, cioè più con il cuore che con le orecchie, e che la vita interiore influisce sulla Parola di Dio, rendendola inefficace oppure facendola vivere e crescere rigogliosamente.
E’ assolutamente impossibile capire quel che si ascolta nella Parola se non c’è contemporaneamente un impegno di onestà e generosità nello stile in cui si porta avanti la propria esistenza.
Infatti come può un uomo timoroso per il futuro comprendere questa parola del Signore: “Non affannatevi per il domani” (Mt 6,34) e “Non datevi pensiero per la vostra vita (Lc 12,22) ? E come può capire la croce chi si interessa prevalentemente del proprio tornaconto ?
Infatti chi si accosta alla Sacra Scrittura sta di fatto cercando la vita eterna e chi cerca la vita eterna deve assumere una posizione chiara nei confronti della vita presente.