Tentazioni di Gesù e Beatitudini

Documento (VANGELO DI MATTEO: Tentazioni di Gesù e Beatitudini)

La montagna della tentazione di Gesu’ (Mt 4,1-11)

Una caratteristica del Vangelo di Matteo è che situa nei monti episodi importantissimi della vita di Gesù.
Perchè Matteo ?  Perchè è l’unico tra gli evangelisti che colloca sia l’inizio, ma soprattutto la fine dell’attività e dell’esistenza di Gesù su un monte. Un monte che non ha mai un nome.
Quindi, l’evangelista ci vuol dire che questo monte non è un’indicazione topografica, ma una realtà spirituale interiore.
Anzitutto vediamo, nella cultura dell’epoca, cosa vuol significare il termine “monte”.
Essendo un luogo elevato dalla terra e quindi più vicino al cielo, in tutte le culture religiose il monte è il luogo dove la divinità comunica con l’umanità e soprattutto il luogo dove essa risiede. Tanto è vero che anche nella nostra tradizione cristiana i santuari sono molto frequentemente posti in cima ad un monte.
Il monte a cui si fa riferimento lo troviamo al capitolo 4 di Matteo, nell’episodio delle tentazioni di Gesù nel deserto. Al versetto 1, l’evangelista scrive: “Allora, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo”. Anzitutto da notare questo “allora”, che pone continuità con l’episodio avvenuto precedentemente, cioè il battesimo di Gesù. Immergendosi nell’acqua del Giordano, Gesù viene riconosciuto dal Padre come “il figlio prediletto” (Mt 3,17). In Gesù c’è tutta la pienezza di Dio, e il Padre gli effonde lo Spirito, cioè la sua capacità d’amore. Ricevuta questa pienezza d’amore Gesù viene condotto nel deserto per essere tentato dal diavolo.
Perchè nel deserto ? In Gesù rivive tutta la storia del popolo di Israele, che una volta liberato dalla terra della schiavitù, dall’Egitto, nel deserto viene messo alla prova da Dio per vederne la capacità di rimanere fedele all’alleanza.
Nel brano di Matteo le prove non vengono da Dio, ma Dio stesso viene tentato da questo personaggio, il diavolo. L’evangelista, mettendo questo episodio all’inizio dell’attività di Gesù, vuol dire che tutta la Sua vita sarà all’insegna della tentazione. Non quindi un episodio di quaranta giorni nella vita di Gesù, ma un avvertimento dell’evangelista perchè in tutta la sua esistenza Gesù verrà sottoposto a queste terribili tentazioni che non sono facili da superare.
Intanto, dice l’evangelista, “Gesù fu condotto nel deserto per essere tentato dal diavolo”. Per la prima e ultima volta nel Vangelo appare questo personaggio. In effetti il diavolo nei Vangeli ha un ruolo estremamente marginale e in quello di Matteo compare una sola volta, in questo episodio delle tentazioni. Vedremo  di capire chi è questo diavolo.
“E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame”. Questo digiuno di Gesù non è un digiuno religioso, che mai Gesù farà, ma è una prova di forza che lo mette alla pari di Mosè. Quest’ultimo, prima di ricevere da Dio sul Sinai la legge, digiunò quaranta giorni e quaranta notti (Es 34,28).
Perche’ l’evangelista non si limita a dire che digiunò quaranta giorni, ma aggiunge quaranta notti ?  Perchè il digiuno religioso, quello imposto dalla legge, inizia all’alba e termina al tramonto. Per far vedere che Gesù non fa il digiuno religioso l’evangelista aggiunge quaranta notti. Non è, quindi, un digiuno fatto per ottenere dei favori da parte di Dio per chissà quali cose, ma è una prova di forza che lo mette allo stesso livello del grande profeta Mosè.
Perché il numero 40 ?  I numeri nella Bibbia non vanno mai presi in maniera aritmetica, matematica, ma sempre in maniera figurata. Nei Vangeli i numeri hanno sempre un valore figurato; il numero “tre” significa completamente (Pietro rinnega Gesù per tre volte, Gesù resuscita dopo tre giorni, cioè torna in vita completamente) e così via.
Il numero “quaranta” indica la generazione, la vita di un uomo. Allora l’evangelista, scrivendo quaranta giorni ci vuol indicare che tutta l’esistenza di Gesù è stata sottoposta a queste tentazioni.
Il tentatore prima è stato presentato con il nome di diavolo e adesso viene presentato come “tentatore”, perchè l’evangelista dà delle chiavi di lettura importanti al lettore. “Tentare” o “tentatore” è un termine che nei Vangeli verrà sempre attribuito ai farisei, sadducei e dottori della legge. Questo significa che  farisei,  sadducei e dottori della legge hanno esercitato un’azione diabolica dall’esterno del gruppo di Gesù, mentre all’interno vedremo poi che sono i suoi stessi discepoli a fare la stessa cosa.
Il tentatore si avvicina a Gesù e gli dice: “Se sei Figlio di Dio…”  Attenzione che non è un dubbio che il tentatore ha, perchè Gesù è già stato proclamato nel battesimo quale Figlio di Dio e il tentatore lo sa che Gesù è il Figlio di Dio.
Pertanto il significato è: “Giacchè sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane”. Cioè, trai dei vantaggi da questa tua condizione; se c’è Dio che ti protegge, giacchè sei il Figlio e quindi hai assicurata la sua protezione, usa le tue capacità a tuo vantaggio, dì che queste pietre diventino pani.
Per il tentatore il pane dovrebbe servire per salvare se stesso, salvare la propria vita, mentre Gesù, Lui stesso si farà pane per salvare la vita degli altri, donando la propria vita.
Gesù infatti risponde: “Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”.
Questa risposta di Gesù è presa da un testo del libro del Deuteronomio, capitolo 8, che riguarda le prove del popolo nel deserto, dove l’autore scrive che Dio ha sottoposto alle prove il suo popolo per quarant’anni nel deserto (Dt 8,1-6). Ecco i quarant’anni nel deserto e i quaranta giorni di Gesù. La tentazione di Gesù è la stessa che ha vissuto il popolo di Israele.
Allora, Gesù, nella tentazione del diavolo, si affida alla parola che esce dalla bocca di Dio, parola con la quale il Signore manifesta la sua volontà, che è la garanzia della protezione divina, senza usare a proprio vantaggio i benefici, ma usando tutte le proprie capacità a vantaggio degli altri.
Questa, dunque, è la prima tentazione, che poi si ripeterà abbondantemente lungo tutta la vita di Gesù.
“Allora il diavolo lo condusse con sè nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio e gli disse: «Giacchè sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini al tuo riguardo ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perchè non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede”.
Gesù aveva risposto alla prima tentazione ponendo una fiducia totale nel Padre. Gesù sa che non c’è da affannarsi, lo dirà Lui stesso, su cosa mangeremo, perchè il Padre tutte queste cose le dà in abbondanza (Mt 6,25-34). Perciò il tentatore – che conosce benissimo la Sacra Scrittura -, preso atto di questa fiducia, lo spinge agli estremi, lo conduce sul pinnacolo del tempio e lo invita a buttarsi di sotto, citando un Salmo (Sal 91,11-12).
Questo diavolo si dimostra un esperto conoscitore della Bibbia, esattamente come lo erano i farisei e gli scribi avversari di Gesù. E’ una tecnica che l’evangelista usa per dire che a questo diavolo che capisce tanto la Bibbia, che sa ribattere prontamente a Gesù, Gesù si rivolge con la parola di Dio e il diavolo, prontamente, ribatte con un altro passo; è tipico delle dispute tra i rabbini. Quindi, il diavolo lo porta sul pinnacolo del tempio, cioè il punto più alto del tempio e gli dice di buttarsi giù; perchè ?
Queste non sono tentazioni sconsiderate, ma molto fini, perchè la tradizione religiosa diceva: quando il Messia apparirà, lo si vedrà improvvisamente sul pinnacolo del tempio, cioè ci sarà un intervento prodigioso, straordinario da parte di Dio. Il tentatore pertanto non fa altro che dire a Gesù: “Fai quello che la gente si aspetta da te: vuoi essere riconosciuto come il Messia ?  Guarda che il Messia, te lo dico io, arriverà mostrandosi sul pinnacolo del tempio. Allora và sul pinnacolo del tempio e, già che ci sei, scendi volando sulle ali degli angeli”.
Ebbene, Gesù rifiuta di fare quello che la gente si attende, e rifiuta soprattutto un Dio che si manifesta attraverso segni di potere. Questo è importante anche per noi oggi. Chi pensa a un Dio di potere, chi attende di vedere i suoi segni come segni prodigiosi di potere, non li vedrà mai, perchè Dio è un Dio di amore e i suoi segni sono quelli dell’amore.
Questa tentazione che ora il diavolo fa a Gesù, gli sarà poi rivolta dai sommi sacerdoti, dagli scribi, dagli anziani e da tutto il popolo, sulla croce: “Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!” (Mt 27,40). Questo è il dio del potere, quello che la gente vuole, un dio che manifesta la sua divinità attraverso un potere che è chiaro, evidente, constatabile. Pertanto, la tentazione che il diavolo fa a Gesù di buttarsi dal pinnacolo del tempio e’ identica a quella che gli faranno sul patibolo, di scendere dalla croce per dimostrare di essere Figlio di Dio.
Gesù, questa volta gli risponde: “Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo”. Abbiamo detto che nelle tentazioni si rivivono gli episodi del popolo ebraico nel deserto. Il popolo si trova ad un certo punto in una località, chiamata Massa, dove non c’era l’acqua ed allora si ribella contro Mosè e contro Dio: ci hai portati in questo deserto a morire di sete, era meglio rimanere in Egitto, almeno là mangiavamo e bevevamo. Il popolo si chiese inoltre: ma questo Dio è in mezzo a noi o no? (Es 17,1-7). Nel libro del Deuteronomio si trova l’espressione: “Non tenterete il Signore vostro Dio come lo tentaste a Massa” (Dt 6,16).
Gesù non ha bisogno di chiedersi se Dio è con lui oppure no. In questo brano l’evangelista anticipa il momento di Gesù sulla croce, dove egli non ha il dubbio se Dio è con lui oppure se lo ha abbandonato, e non ha bisogno di chiedere interventi straordinari che confermino la Sua presenza. Gesù ha la certezza che Dio è sempre dalla sua parte.
Andiamo ora alla terza tentazione; da ricordare che il numero tre significa la completezza, ossia sta ad indicare che per tutta la sua vita Gesù ha avuto queste tentazioni. Quante volte gli chiedono: noi ti crediamo, facci solo un segno prodigioso dal cielo e così veniamo tutti con te. Ma Gesù rifiuta sempre ! Finalmente arriviamo al monte; in questa tentazione “il diavolo lo condusse con sè sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e disse: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai”.
E’ la tentazione suprema. L’ultima tentazione è posta nel monte, cioè il luogo di abitazione della divinità. Questo monte, definito molto alto, è percio’ il massimo della divinità. Nella cultura di quell’epoca, ogni persona che deteneva una qualunque forma di potere aveva la condizione divina. L’imperatore veniva considerato un dio, un figlio di dio, e così il re, il faraone. Tutti coloro che detenevano il potere erano considerati di natura divina, ma per Gesù la sua natura divina, la sua figliolanza con Dio non si manifesterà nel potere, nel dominio, ma nell’amore e nel servizio.
Satana mostra a Gesù tutti i regni, allo stesso modo in cui Dio mostra a Mosè, salito sul monte Nebo, tutto il paese (Dt 34,1-4). Ma mentre qui viene mostrato un territorio da conquistare, Gesù su di un monte, il monte della resurrezione, inviterà i suoi ad “andare in tutto il mondo ponendosi in un atteggiamento di servizio”. Gesù demolisce, in un sol colpo, tutta la tradizione religiosa ebraica di Israele come popolo eletto, chiamato a dominare tutti gli altri popoli.
C’e’ il Salmo 2, in cui al versetto 8 Dio dice al suo Messia: “Ti darò in possesso le genti e in dominio i confini della terra. Le spezzerai con scettro di ferro, come vasi di argilla le frantumerai” (Sal 2,8-9). Il Messia della “tradizione” è un Messia che impone l’ordinamento di Dio attraverso la violenza. Di conseguenza, le tentazioni non sono qualcosa di cattivo che è facile per Gesù evitare, ma viene a lui proposta la tradizione religiosa di Israele, quella radicata nel popolo. Sei il Messia ?  Devi dominare le nazioni e, addirittura, le dovrai spezzare con scettro di ferro e frantumarle come vasi di argilla.
Perciò il tentatore non è il diavolo della nostra tradizione che si presenta in maniera orribile – ed è perciò facile dire “Vade retro Satana” -, ma i tentatori sono i farisei, la parte più spirituale del popolo, sono gli scribi, questi teologi che parlano con autorità e con mandato divino. Essi dicono: “Sei il Messia, sei il figlio di Dio? Guarda che il Salmo 2, la parola di Dio, dice che il Messia dovrà dominare e schiacciare gli altri popoli”.
Ecco la tentazione proposta a Gesù: quella di conformarsi ad una tradizione religiosa, umana e spirituale. E Gesù, invece, si sbarazza di questa logica; le sue ultime parole, quando inviterà i suoi discepoli ad andare in tutto il mondo, non saranno di dominio, ma di mettersi al servizio. Gesù dirà: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nell’amore del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28,19). Quindi, c’è sì da andare verso altri popoli pagani, ma non con un atteggiamento di dominio, ma di servizio. Gesù in questo modo elimina l’arroganza di una tradizione religiosa che presumeva il popolo di Israele come preferito da Dio a dispetto di altri popoli, come un popolo chiamato a dominare.
Gesù risponde al tentatore: “Vattene Satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto”. Gesù scaccia Satana con le parole dello “Shema’” (= ascolta) di Israele, che si trova nel libro del Deuteronomio ed è la professione di fede nella quale si afferma l’unicità di Dio (Dt 6,13). Gesù si rifiuta di adorare il potere e si rimette al Dio che lui ha conosciuto, al Padre che lo ha investito con il Suo Spirito nel battesimo.
“Allora il diavolo lo lasciò ed ecco angeli gli si accostarono e lo servivano”.
Il diavolo lascia definitivamente la scena per non comparire mai più nel Vangelo.
Il diavolo nei Vangeli ha uno spazio relativamente marginale. La sua azione, però, sarà sempre presente lungo tutta l’esistenza di Gesù. Essa verrà incarnata, all’esterno, dai farisei e dagli scribi, i tentatori; quante volte nel Vangelo troviamo l’espressione “si avvicinarono a Gesù per tentarlo”. Ma quello che è più grave è che la tentazione di Satana verrà manifestata anche all’interno del gruppo di Gesù dagli stessi discepoli, in particolare da Pietro, l’unico verso il quale Gesù dirigerà le stesse parole usate per Satana.(Mt 16,23).
Gli angeli, il segno della protezione divina, esercitano allora il loro servizio, confermando la fiducia che Gesù aveva nel Padre. Il tentatore gli diceva “manifesta qualcosa di straordinario e gli angeli si metteranno al tuo servizio”; Gesù invece rifiuta lo straordinario, si mette in un atteggiamento d’amore, e “allora” gli angeli si manifestano.
Questo è il monte della tentazione, nel quale viene presentato un episodio della vita di Gesù, e qual è il significato ?  La condizione divina, rappresentata da un monte molto alto, non si ottiene attraverso prodigi straordinari, dominando e schiacciando gli altri, ma mettendo la propria vita al servizio di tutti. Non con delle pietre che diventino pane a proprio vantaggio, ma con il fare se stesso pane a vantaggio degli altri.
Queste sono indicazioni che, se ben comprese, non rimangono in un episodio della vita di Gesù, ma si possono riflettere nella vita di noi tutti.

La montagna delle Beatitudini (Mt 5,1-12)

Iniziamo l’altro monte che troviamo nei Vangeli, che è il monte del “discorso della montagna”.
Scrive l’evangelista: “Vedendo le folle, Gesù salì sul monte e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli”. Questo monte è importantissimo, perchè è la condizione, poi, nel “monte della resurrezione”, per sperimentare Gesù risuscitato.
Gesù vede le folle… L’evangelista scrive le “folle”, che è un termine che riguarda tutti, sia il popolo di Israele, sia i pagani, che accomuna le moltitudini. Per Gesù non esiste più un popolo eletto da Dio, perchè ogni preminenza di un popolo fa scaturire un desiderio di dominio, di supremazia, di razzismo e di violenza.
“Vedendo le folle, Gesù salì sul monte”. In queste righe può sembrare che Gesù, vedendo le folle, se ne voglia allontanare salendo sul monte, ma non è così. L’unica altra volta che viene usata questa espressione “vedendo le folle” è nel capitolo 9 di Matteo, quando l’evangelista scrive: “Vedendo le folle ne sentì compassione, perchè erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore” (Mt 9,36). La salita di Gesù sul monte è anch’essa espressione di questa compassione per il popolo, dal quale Gesù non si allontana, ma a cui si rivolge invitandolo ad entrare nel regno di Dio abbandonando definitivamente la condizione di pecore perdute per entrare nella condizione dei beati.
Chi sono le pecore perdute? Coloro che seguono i tanti pastori, o sedicenti pastori che si presumono tali.
Chi sono i beati? Quelli che sanno distinguere i falsi pastori e riconoscono in Gesù l’unico pastore. Scrive l’evangelista: “salì sul monte”. Anche questa espressione non intende una località geografica, ma allude a due monti principali nella storia di Israele: il monte Sinai, dove Dio diede a Mosè le sue leggi (Es 31,18), e il monte Sion, il luogo dove risiedeva il tempio e la gloria di Dio.
Ora Dio non si manifesta più in un tempio, ma nell’ambito delle beatitudini. “Gli si avvicinarono i suoi discepoli”. “Prendendo allora la parola, insegnava loro dicendo: Beati i poveri per lo spirito, perchè di essi è il regno dei cieli”. E’ opportuno ora esaminare soltanto la prima, perchè poi tutte le altre beatitudini sono la conseguenza della prima.
Gesù, in effetti, non ha mai elevato a beatitudine la povertà. La povertà è sempre negativa, non c’è nulla di bello nella povertà. Gesù, nel discorso della montagna, rivolge un invito ai credenti e quindi in questo caso anche a noi, perchè ci impegniamo tutti ad eliminare le cause della povertà. Gesù, nel Vangelo di Matteo, dice “beati i poveri per lo spirito” e nel Vangelo di Luca, che ha anch’esso le beatitudini, Gesù si rivolge unicamente ai discepoli, che già hanno abbandonato tutto, e dice “beati voi poveri”.
Qui è importante comprendere cosa significa “per lo spirito”. Ripeto: Gesù mai dice semplicemente “beati i poveri”, ma “beati i poveri per lo spirito” Cosa significa? Non è lo Spirito Santo, ma bensì è lo “spirito dell’uomo”.
Quando Gesu’ dice “lo spirito è pronto, ma la carne è debole” (Mt 26,41; Mc 14,38): cosa sta a significare ?  Un’energia interiore nell’uomo. Per cui Gesù non dice “beati i poveri”, ma “beati coloro che sono poveri per una spiritualità viva che hanno dentro”.
Gesù infatti, non ci vuole togliere qualcosa, ma vuole consentire all’uomo di arrivare alla pienezza della sua maturità umana e spirituale. Per questo, nel discorso della montagna, c’è la prima beatitudine che racchiude e riassume tutto l’insegnamento.
Diceva uno dei primi Padri della Chiesa, San Giustino: “Colui che ama il prossimo deve dunque pregare e darsi da fare perchè il suo prossimo abbia le stesse cose che ha lui”.
E’ questa la scelta che Gesù ci chiede di fare, quella che Giustino aveva intuito: chi ama si dà da fare affinchè l’altro abbia le sue stesse cose. Quindi, non si tratta di togliere quello che si possiede, ma di consentire che anche gli altri lo possano avere. Sicuramente ci può essere il caso in cui occorre abbassare un pò il livello e il tenore della propria esistenza per permettere agli altri di innalzarlo.
“… perchè di essi è il regno dei cieli”:  “regno dei cieli” non significa il regno dell’aldilà, ma è un’espressione ebraica che significa “quelli che hanno Dio per re”; cioè, la scelta coraggiosa di condividere quello che si ha e quello che si è con gli altri non porta nessuna conseguenza negativa, perchè di questi si occupa Dio. La scelta volontaria della povertà causa immediatamente l’intervento di Dio; non è una scelta per il futuro – “avranno Dio per re” o “di essi sarà il regno dei cieli” -, ma questo avviene nel momento preciso in cui ci impegniamo a condividere generosamente.
La generosità e’ una caratteristica che tutti possono avere.
San Basilio, Padre della Chiesa, paragona la ricchezza a un fiume. Il fiume, la ricchezza, è valido soltanto se fluisce e irriga e comunica vita, ma se il fiume si ferma l’acqua stagna e va in putrefazione. Quindi la ricchezza, quando viene trattenuta per sè, produce effetti mortali, quando invece viene elargita produce la vita. Perciò, Gesù ha bisogno di attivi collaboratori, che con lui e come lui scelgono coraggiosamente il bene e il benessere degli altri come punto principale della propria esistenza. Costoro, e non altri, sperimentano la presenza di Dio, attiva e vivificante nella propria esistenza.
La presenza di Dio nella nostra esistenza non toglie le difficoltà a volte tragiche e dolorose che la vita ci presenta, ma ci dà una maniera nuova per viverle e per affrontarle.
Questa prima beatitudine corrisponde al primo comandamento della legge di Mosè: “Non avrai altri dei di fronte a me” (Es 20,3). La divinità che il popolo è tentato di adorare è il dio Mammona, la ricchezza, il profitto. Tutte le altre sette beatitudini sono soltanto una conseguenza di questa prima beatitudine, che potremmo semplificare in questo modo: occupatevi del bene, della felicità e del benessere degli altri, perchè finalmente permetterete al Padre di occuparsi della vostra felicità. E il cambio è vantaggioso. Non è possibile conciliare, però, fiducia in Dio e fiducia nella ricchezza. Gesù lo dice chiaramente: “Non potete servire a Dio e a mammona” (Mt 6,24; Lc 16,13) dove “mammona” significa la ricchezza.
Nel Vangelo sono i farisei che erano attaccati al denaro, come denuncia l’evangelista Luca, e che hanno la pretesa di seguire Dio e Mammona. La loro santità, questa loro devozione non impediva loro di essere attaccati al rivale di Dio. C’è una frase di Gesù, che non e’ conservata nei Vangeli ma la troviamo riferita da Paolo, negli Atti degli Apostoli, che dice: “E’ più beato colui che dona di chi riceve” (cfr. At 20,35). La vera beatitudine consiste nel farsi e nel far dono agli altri di quello che si e’ e di quello che si ha. Il rovescio della medaglia è la ricchezza.
I Vangeli presentano differenze e lo constatiamo anche nel caso delle beatitudini. In Matteo infatti ne abbiamo otto, mentre nel Vangelo di Luca solo quattro seguite da quattro “guai”, come comunemente vengono tradotti. Questi “guai” sembrano quasi delle maledizioni che Gesù lancia sui ricchi; infatti la traduzione dice: “Guai a voi, ricchi, perchè avete già la vostra consolazione” (Lc 6,24).
Ma Gesù non minaccia, nè tantomeno maledice. Questa espressione che viene tradotta con “guai” è un’espressione tipica del lamento funebre che si faceva sul cadavere il giorno del decesso. Gesù non maledice i ricchi, li piange come morti! Il ricco anche se ha vita fisica è una persona morta: Gesù sta dicendo “ahi a voi”, cioè piange i ricchi come delle persone che sono già morte. Questo è il rovescio della medaglia. (cf. Mc 10,23-25). Non si tratta però di una condanna definitiva perchè fin che c’è vita c’è possibilità di conversione e di salvezza per tutti, come possiamo constatare nell’episodio di Zaccheo (Lc 19,1-10).
Gesù, sul monte, propone la pienezza della condizione divina, una condizione divina che è accessibile a tutti quanti. I discepoli si avvicinano, le folle si possono avvicinare, ma questa condizione divina, cioè l’avere in noi la stessa vita di Dio, come si ottiene?
Dice Gesù: occupatevi degli altri! E questo è possibile farlo tutti; lo sapranno fare più i poveri che i ricchi, perchè il ricco spesso non si occupa dell’altro in quanto non lo vede. Si consideri la parabola di Lazzaro e del ricco, contenuta nel Vangelo di Luca (Lc 16,19-31). Se Gesù, in questa parabola, ha parole di severa condanna per il ricco, non è perchè si e’ comportato in maniera negativa, malvagia nei confronti del povero: è semplicemente perchè ne ha ignorato l’esistenza. Il ricco è colui che vive ad un livello tale da non accorgersi dell’esistenza dei poveri.
Allora Gesù con questa beatitudine, che poi viene esplicitata in tutte le altre beatitudini, ci invita ad affinare la sensibilità e scoprire quei poveri che hanno bisogno del nostro aiuto e del nostro interesse. Se c’è questo il cambiamento è meraviglioso; finalmente Dio entra nella nostra esistenza e l’esistenza prende una dimensione straordinaria. Poi da qui, Gesù sviluppa tutto il suo discorso.
“Se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra” (Mt 5,39): sono immagini figurate che vanno prese come figure !  Porgere l’altra guancia non è infatti un invito alla debolezza!
Gesù ci vuol dire che alla violenza dell’altro non va risposto con altrettanta violenza, perchè poi questa si scatena, aumenta e non sappiamo dove può andare a finire. Gesù ci chiede di disinnescare la violenza dell’altro con un amore più grande della sua violenza.
Nel discorso della montagna questo atteggiamento entra notevolmente con la concessione del perdono all’altro non come segno di debolezza, ma come segno di forza. Il perdono non è un’espressione di debolezza, ma un’espressione di potenza e significa: la tua capacità di farmi del male non sarà mai grande quanto la mia di volerti bene. Quindi, Gesù non vuole delle persone deboli, delle persone remissive, delle persone che accettano senza fiatare tutti i soprusi dei prepotenti, ma delle persone attive che eliminino tutte le oppressioni che sono nella terra.
Ecco perchè l’ultima delle beatitudini è quella della persecuzione. Se il messaggio di Gesù è la liberazione di tutti coloro che sono oppressi, il credente, in qualche maniera, dà molto fastidio a coloro che sono gli oppressori. Se si vuole fare del bene a coloro che soffrono, inevitabilmente si finisce per disturbare notevolmente coloro che sono la causa di questa sofferenza, e il cristiano è invitato da Gesù ad essere, secondo l’esempio che Lui ha offerto, la denuncia visibile di tutte le oppressioni che vengono esercitate sulla gente.
Questa è vera liberazione e segno di sicura speranza.